...nihil humani a me alienum puto

SENNA

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Gran Bretagna 2010, 105’
Genere:
Biografico, Documentario
Regia di:
Asif Kapadia
Cast principale:
Ayrton Senna, Alain Prost, Ron Dennis,
Jean-Marie Balestre, Frank Williams
Tematiche:
fede, Dio, famiglia, morte, vittoria, sport
Target:
da 11 anni
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Imperdibile
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La vita e la morte di Ayrton Senna, uno dei più grandi piloti di Formula 1 di tutti i tempi.

Recensione
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Un documentario? Molto di più. Senna, diretto da Asif Kapadia (regista inglese di origine indiana), racconta sì la vita e la morte del grande pilota Ayrton Senna, e lo fa con l’utilizzo di immagini di repertorio notevolissime (della famiglia e degli archivi della Formula 1).

Ma è un film a tutti gli effetti, con l’uso sapiente di tutti i possibili mezzi, tecnici e narrativi, che il cinema – il grande cinema, vorremmo dire – mette a disposizione (non a caso produce la Working Title, notissima casa cinematografica inglese, che ha realizzato da Quattro matrimoni e un funerale a Notting Hill).

C’è l’infanzia e l’ascesa di un eroe, ma anche la sua tragica fine (Senna morì l’1 maggio 1994 a Imola in un incidente quasi assurdo per la sua dinamica), la sua grande passione per le corse e il suo coraggio – che per i detrattori diventava temerarietà – e il suo incredibile talento (vinse tre titoli mondiali), l’amore per la sua famiglia e la sua grande fede, il fascino (ricambiato) sulle belle donne, gli avversari che diventano “antagonisti” in senso narrativamente forte, scene d’azione (con le telecamere montate sulle macchine da corsa) di grande impatto emotivo, la lotta per le vittorie con suspense quasi da “thriller” sottolineata da musiche toccanti…

E poi sentimenti forti, tanto che in vari momenti si fatica a trattenere la commozione. Anche se non si conosce nulla di questo sport e di questo straordinario campione.

Soprattutto, non c’è furbizia in questa operazione.

Anzi: se Senna è un bellissimo film, assolutamente da non perdere, è perché chi l’ha realizzato – ottenendo il difficile beneplacito della famiglia, che aveva sempre bocciato operazioni analoghe – si è mosso con grande rispetto verso il personaggio Ayrton, riuscendo così a restituire davvero la sua ricca umanità. Umanità raccontata dai tanti che gli volevano bene: dai genitori alla sorella, dai giornalisti ai manager, perfino dal medico ufficiale delle corse (latitano un po’ i colleghi automobilisti).

Impressiona in particolare quel carattere vitale ma anche pronto a incupirsi, il desiderio di migliorarsi sempre e di non tirarsi mai indietro, lo straordinario rapporto con la famiglia, l’amore per il suo popolo davvero speciale (una delle scene più emozionanti è quando per la prima volta Senna vince in maniera epica il Gran Premio del Brasile, in condizioni fisiche proibitive), il suo rapporto con Dio fino all’ultimo giorno della sua vita: il ringraziamento per il suo talento e le sue vittorie (“Ho sentito la sua presenza”, disse dopo la prima vittoria), il conforto nei momenti di difficoltà (e dopo un grave errore che provoca un incidente, “ho imparato molto, mi sono avvicinato a Dio”), quasi il presentimento dell’abbraccio con il Padre la mattina di quella tragica corsa…

Sono notevoli anche la ricostruzione della rivalità acerrima con Alain Prost (ma che bello l’epilogo di questo rapporto controverso: c’era anche Alain – oggi nel Consiglio della Fondazione Senna – a sollevare la bara ai funerali) e la sua battaglia con il “sistema”, che a un certo punto lo prende di mira (il boss della F1, il francese Jean-Marie Balestre, parteggiava spudoratamente per Prost), immagini mai viste prima di riunioni tra capi e piloti dove emerge l’onestà e il carattere fiero di Ayrton, la sua insofferenza alle ingiustizie (tra cui una squalifica vergognosa) e alle falsità; anche il senso di disagio in un’occasione in cui è lui, per reazione, a compiere una brutta scorrettezza al rivale di sempre.

E quando, per cambiamenti tecnologici nefasti, le macchine presero il sopravvento sull’uomo causando in pochi mesi incidenti gravi e talvolta mortali, fu l’unico a lanciare – inascoltato – il campanello d’allarme.

Quella mattina dell’1 maggio 1994, scosso dalla morte del pilota Ratzenberger in prova, sembrava non voler scendere in pista per il GP di Imola.

Andò, invece, incontro al suo Destino, quasi con consapevolezza. Una morte che fece piangere tante persone, non solo genitori e congiunti ma sportivi, appassionati, l’intero popolo brasiliano.

Una morte che faceva interrogare, per la sua fatalità (se l’impatto fosse avvenuto poco sopra o poco sotto si sarebbe salvato; il corpo era senza fratture).

Una morte che diventa un abbraccio eterno, come svela la lapide sulla sua tomba, con la frase di San Paolo: “Niente mi potrà separare dall’amore di Dio”.

Antonio Autieri



Fontewww.sentieridelcinema.it
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