STILL LIFE
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Still Life (id.) |
Un impiegato comunale cerca di ricostruire le vite di chi muore in solitudine e di trovarne i parenti
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La vita di John May, grigio e taciturno funzionario comunale di un distretto di Londra, è meticolosa e scandita da rituali, ma nasconde una missione che l’uomo si è dato nel tempo. Dovendo per lavoro contattare i parenti delle persone morte improvvisamente, in totale solitudine (e che strazio quell’obitorio, dove ci sono cadaveri in cerca di qualcuno che li reclami), John ha sviluppato un’abilità da detective nell’inseguire indizi, nel trovare nessi, nel risalire a relazioni allentate dal tempo e a volte dal rancore. Soprattutto, quelle persone che nessuno sembra voler nemmeno ricordare sono ormai la sua famiglia, tanto da tenere le loro foto in un album; e perfino da partecipare, unico spettatore, ai funerali (che cura nei dettagli, dalle musiche alle omelie scritte per i celebranti). Perché è anche lui come loro, totalmente solo; non ha una famiglia, fa tutto da sé. E forse teme che anche per lui, un giorno, ci potrà essere quel triste epilogo. Mentre il suo ufficio rischia di essere smantellato (ci sono “rami secchi” da tagliare, e lui è uno di questi…) e di perdere così quello strano ma amato lavoro; che per lui è una vocazione ed è da fare con estrema cura e amore, tanto da portarsi a casa quelle che per altri sarebbero scartoffie e per lui sono le vite degli altri… Finché proprio l’ultimo caso prima del licenziamento gli porta in dono l’incontro con una donna, che apre una prospettiva diversa per il serioso impiegato (che bella la scena in cui un sorriso enorme illumina la sua faccia goffa).
Produttore di successo (fu sua l’intuizione del fortunato Full Monty), Uberto Pasolini – italiano che vive e lavora a Londra – è al suo secondo film da regista, dopo il positivo debutto con Machan; ed è già un grandissimo film con cui si è presentato a Venezia 2013 nella sezione Orizzonti (per molti osservatori meritava la ribalta del concorso principale) dove ha vinto il premio per la miglior regia. Con Still Life, espressione che indica una “natura morta” rappresentata in un quadro o una foto ma che può significare anche “vita ferma” o “ancora vita”, Pasolini abbandona i consueti toni da commedia, per quanto agrodolce, per confezionare un dramma toccante – colpiscono al cuore quelle case disabitate, quelle vite ricostruite attraverso oggetti abbandonati all’improvviso, lettere o foto – smorzato da alcuni momenti caratterizzati da umorismo sottile, tipicamente british, come le già citate scene dei funerali in cui lui solo occupa i banchi dei fedeli). John May, interpretato dallo strepitoso Eddie Marsan (attore britannico dal ricco curriculum ma in genere impiegato in ruoli di spalla, qui per la prima volta protagonista assoluto) in una prova tutta di sottrazione, silenzi ed espressività trattenuta, è il classico uomo apparentemente senza qualità, ma che ha il dono – di cui nessuno sembra accorgersi, tranne un addetto dell’obitorio che lo definisce “un uomo speciale” – di riuscire a ridare dignità e una storia a persone dimenticate se non addirittura volutamente tenute a distanza dai loro “cari” perfino nel momento della morte. Indimenticabile il finale, da non svelare, che strappa commozione anche allo spettatore più cinico. Che non solo riscatta la tristezza e rende bellissima una storia che poteva sterzare nel cinismo. Ma che afferma il valore eterno di ogni vita.
Antonio Autieri
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https://www.youtube.com/watch?v=XQ_13vl7Ct8