...nihil humani a me alienum puto

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Giovedì 16 dicembre
il Dr. G. Caronia, il Prof. G. Chiappa e la Prof. R. Martorana Tusa
hanno presentato

LUMI DI SAPIENZA
La miniatura  Armena
Libro calendario 2011
Prof Giuseppe Chiappa

Presentiamo oggi, a cura del Centro Culturale “Il Sentiero” di Palermo, il calendario 2011 Lumi di sapienza. Miniatura armena della “Casa di Matriona”, realizzato dalla fondazione Russia  Cristiana di Seriate.
Per chi non conoscesse Russia Cristiana, è bene dire che essa nasce nel 1957 dall’amicizia di padre Romano Scalfi con monsignor Luigi Giussani. Attraverso  essa si realizza  negli anni della “cortina di ferro” nell’Europa dell’est un legame profondo di volti e amicizie che hanno inciso sulla storia del XX secolo: basti citare l’incontro con il cardinale di Cracovia Karol Wojtyla, divenuto Giovanni Paolo II nel 1978.
Oggi Russia Cristiana è presente a Mosca con la Biblioteca dello spirito, dove cattolici e ortodossi lavorano insieme per quell’unità in Cristo per cui tutti preghiamo e speriamo.
Quest’anno la scelta per il calendario è caduta sul popolo armeno, al crocevia tra l’Europa e l’Asia minore: un popolo che ha dovuto vivere per secoli in  croce, soprattutto nel XX secolo con un genocidio negato dalla storia ufficiale,  ma rimasto fedele a quella frase che il grande Solov’ev  fa pronunciare allo starets Giovanni nel Racconto dell’anticristo: “Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacché noi sappiamo che in  lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità”.
Questa sera ci introdurranno nella conoscenza dell’arte dei nostri fratelli armeni l’iconografo Giovanni Caronia e la professoressa Rita Martorana Tusa.

Dr. Giovanni Caronia

Ringrazio il Centro Culturale “Il Sentiero” dell’invito a presentare anche quest’anno il libro calendario 2011 di Russia Cristiana che propone un tema di straordinario interesse: il mondo della miniatura armena, attraverso una selezione di opere dal VI al XVI secolo.
Rispetto agli anni passati quest’anno la scelta è caduta sulle miniature e non sulle icone -  argomento quasi sempre trattato da Russia Cristiana e realizzato nei calendari -, ma altrettanto significative in quanto esprimono la cultura di un popolo costretto a frequenti spostamenti.  
L’opera costituisce una raccolta di splendide miniature provenienti dalle collezioni dell’Istituto Matenadaran di Erevan in Armenia e dalla Congregazione Mechitarista di San Lazzaro a Venezia, riprodotte in grande formato. Ogni miniatura è corredata da una descrizione artistica e storica. Il calendario è inoltre arricchito da un testo monografico sulla storia della miniatura armena con approfondimenti sulle diverse scuole di miniature, sulla Chiesa Armena e sulla spiritualità armena.
Il nome originario dell’Armenia era Hayastan, che significa la terra di Haik. Secondo la Scrittura, Haik, antenato di tutti gli armeni, era discendente di Noè. Haik si stabilì ai piedi del Monte Ararat, da dove  partì per assistere alla costruzione della Torre di Babele. Ritornato, sconfisse il re assiro Nirurad presso il lago di Van nell’attuale Turchia.
Il popolo armeno invece prende il nome da Armenak (o Aram), un grande condottiero discendente di Haik.
L’Armenia è un territorio montuoso senza sbocchi al mare che si estende dal nord tra il lago di Sevan e l’Azerbaigian fino al confine con l’Iran. E’ un paese a maggioranza cristiana; ricordiamo infatti che i primi a portare la lieta novella del Vangelo furono gli Apostoli Taddeo e Bartolomeo che hanno tenuto la loro predicazione in queste terre. La chiesa armena farebbe poi risalire la sua fondazione al III secolo d.C.
L’Armenia ha poi un primato, cioè quello di essere stata la prima nazione ad avere adottato il cristianesimo come religione di stato (nel 301, sotto il regno di Tiridate III). La conversione fu favorita da S. Gregorio l’Illuminatore. La conversione al Cristianesimo determinò le sorti del popolo armeno e caratterizzò la cultura, il carattere e la fisionomia nazionale. Insieme  alla lingua, costituì l’anima della nazione nei lunghi periodi in cui lo Stato perse la propria indipendenza.
Un altro S. Gregorio, questa volta di Narek, nell’XI secolo è autore del Libro della lamentazione, una delle più rilevanti e significative opere di poesia e mistica della letteratura universale. Stralci di questa opera sono presenti dietro ogni immagine nel fondo di ogni pagina del calendario.
Due sono i musei da cui sono state ricavate le immagini presenti nel calendario.
Il museo Matenadaran si trova a Erevan, capitale della repubblica d’Armenia che proprio nel 2011 celebra 2793 anni dalla sua fondazione; il museo in questione contiene una raccolta di 17.000 manoscritti e circa 100.000 documenti di archivio, medievali e moderni. La raccolta riguarda le più disparate branche del sapere, tra cui Geografia, Medicina, Teologia, Storia, Scienze naturali, in armeno antico e moderno e conta anche antichi scritti in più di 2.000 lingue diverse.
Un altro museo  si trova a San Lazzaro degli Armeni, una piccola isola nella laguna veneziana, proprio vicino al Lido, completamente occupata da un monastero che è la casa madre dell’ordine dei Mechitarristi.
L’isola per la sua posizione fu usata nel XII secolo come lebbrosario, ricevendo il relativo nome da San Lazzaro mendicante, patrono dei lebbrosi. Abbandonata nel XVI secolo, nel 1717 fu data dalla Repubblica di Venezia ad un gruppo di monaci armeni guidati dal giovane monaco Mechitar, che erano fuggiti dalla persecuzione turca a Istanbul; cinque anni dopo, nel 1722, il monastero fu posto sotto la protezione del Papa. Questa congregazione ha una profonda comunione con Roma in un atteggiamento sostenuto da uno speciale carisma ecumenico che Mechitar le imprime sin dall’inizio.  Mechitar e i suoi 17 monaci restaurarono la chiesa e ivi costruirono un monastero, e, sottraendo terra al mare, ingrandirono di 4 volte l’isola fino all’attuale grandezza di 3 ettari. Mechitar muore nel 1749, ma anche dopo la sua morte l’opera della congregazione si espande: una tipografia viene installata nel monastero di S. Lazzaro e un nuovo ramo della congregazione stessa  viene fondato a Trieste e a Vienna nel 1805.  
L’apostolato mechitarista al servizio del popolo armeno ha sostenuto nei tre secoli a Venezia la spiritualità, le arti e le scienze armene. Questo impatto fu tale che nel XVIII secolo l’impegno mechitarista determinò una grande attività educativa e letteraria rivolta soprattutto alla formazione delle giovani generazioni armene.
La Chiesa di San Lazzaro degli Armeni ospita una biblioteca di 200.000 volumi, un museo con oltre 4.000 manoscritti (alcuni dei quali presenti in questa pubblicazione – tav. XI, tav. XV, tav. V), alcuni manufatti arabi, indiani ed egiziani raccolti dai monaci o ricevuti come regali.
La diaspora armena è comunque presente in tutti i continenti e in moltissimi paesi; in Italia è presente a Venezia come prima detto, a Roma, a Cosenza e a Milano.
Uno studioso dell’ottavo secolo, Kertol, afferma in una sua opera intitolata Gli iconoclasti che nel paese non si conoscevano sante immagini. Alcune immagini infatti venivano importate da Bisanzio. L’icona realizzata su tavola in Armenia non ebbe diffusione, sebbene gli artisti armeni conoscessero la sua concezione e simbologia.
In Armenia è viva oltre alla miniatura anche la tradizione di produrre steli di pietra, raffigurazioni scultoree che facevano  parte della decorazione di sepolture e chiese cristiane. Fra questi bassorilievi predominavano composizioni raffiguranti croci all’interno di medaglioni, foglie di acanto, rami di palma, ma esistevano anche rappresentazioni di santi cristiani in mosaico e affresco. A proposito delle rappresentazioni scultoree va ricordato in particolare il rilievo della Madre di Dio con il Bambino, alto quasi un metro, nella chiesa di Odzun. Quest’opera è eseguita ad alto rilievo ed è l’unico esempio giunto fino a noi di icona su pietra. Era probabilmente collocata sull’altare della chiesa.
A partire dal IX secolo nasce anche una variante dell’icona su pietra detta chackar. Lo  chackar è una stele di pietra che ha la stessa funzione dell’icona e viene utilizzato anche come altare. Gli elementi nella sua decorazione sono la croce, l’arco e l’albero della vita. Gli chackar venivano collocati all’ingresso delle chiese, oppure addossati alle pareti dentro e fuori la chiesa.
Il culto della croce, simbolo supremo della fede in Cristo, acquisì rilievo nel contesto dell’arte medioevale e della cultura armena. La fedeltà a questo simbolo è attestata da numerose feste in onore della S. Croce, come appunto l’Invenzione della Croce, che ricorda il ritrovamento del Santo Legno ad opera di S. Elena madre dell’imperatore Costantino nel 325. Un altro avvenimento è legato alla miracolosa Apparizione della Croce a Gerusalemme nel 351 durante il regno di Costanzo, figlio di Costantino, quando nel cielo sopra il Calvario apparve una Croce gigantesca da cui irradiava una luce ineffabile.
Un altro avvenimento ancora fu l’Esaltazione della Croce che ricorda l’evento della celebrazione attribuita all’apostolo Giacomo, primo vescovo di Gerusalemme, che avendo trovato un frammento della Croce lo presentò alla venerazione del fedeli al canto dell’inno “Ci inchiniamo alla Tua Croce, adorando la Tua Resurrezione“. Come si vede la croce in  Armenia ha una ricca tradizione iconografica.
Adesso alcune informazioni sulla miniatura per comprendere meglio i contenuti dell’opera.
L’arte della miniatura ebbe in Armenia un’esistenza millenaria, ma dal 1512 compaiono anche i libri a stampa. In un ambito di continue invasioni nemiche i codici avevano la funzione di preservare la lingua, la coscienza e la cultura. Realizzare un libro equivaleva a costruire una chiesa e per questo vengono messi in uso diversi stili  e vi sono diverse correnti di produzione di codici. Gli artisti furono tanti e di diverso livello.
La miniatura godette di grande sviluppo e popolarità perché i patriarchi della Chiesa armena erano diffidenti verso le pitture parietali e le icone e incoraggiavano la decorazione dei libri. Fu proprio la miniatura dopo l’architettura l’ambito in cui si espresse di più la creatività artistica degli armeni.
La miniatura armena è riconoscibile in quanto è all’incrocio tra l’Oriente e l’Occidente. Dall’Occidente ha preso una forza figurativa ed espressiva, mentre dall’Oriente ha preso il simbolismo.
I primi libri scritti in armeno furono le traduzioni della Bibbia ed è nel 405, anno in cui Mesrop Mashtoz inventò l’alfabeto armeno, che si determinarono i modelli di scrittura, la composizione dei testi e l’aspetto dei libri. Questi libri e codici erano composti da più fascicoli di fogli di pergamena, poi nel X secolo divenuti di carta. La pergamena armena era sottilissima, morbida e soprattutto chiara. I fascicoli venivano rilegati con tavolette di legno rivestite di cuoio o di velluto o di avorio o ancora di oro e argento che erano finemente cesellate e filigranate.
Su questi libri venivano riportati testi biblici come il Nuovo Testamento, il Salterio, libri delle Ore, Lezionari e libri degli Inni e tutti quei testi che dovevano servire la liturgia della Chiesa. Inoltre venivano riportati nei codici anche opere di filosofia, teologia, grammatica, nonché scritti su branche del sapere come medicina, geografia, meteorologia, astronomia e matematica.
Questi manoscritti venivano realizzati in scriptoria presso i monasteri, dove esistevano botteghe specializzate nella scrittura, nella miniatura e nella legatoria. I calligrafi erano molto spesso anche miniaturisti.
Nei codici si incontra ad un certo momento, dal XII secolo in poi, una scrittura decorativa in cui vengono scritti i frontespizi e le iniziali delle letture, caratterizzata da lettere a forma di uccelli, pesci ed esseri umani e anche motivi floreali. La loro origine viene collegata ai simboli degli evangelisti e di Cristo, cioè il leone, il bue, l’angelo, l’aquila e il pesce e così via.
I codici hanno conservato una notevole brillantezza cromatica grazie ai colori e agli inchiostri che venivano usati. Questi colori venivano stemperati in acqua e alla fine del lavoro venivano levigati e cerati in modo da essere uniformi e brillanti. Fino al XIII secolo si impiegava oro in foglie, poi si impiegò quello in polvere, non si usava quasi mai l’argento perché corrodeva la pergamena. Esisteva un colore famoso e apprezzato nella miniatura armena che era l’amaranto e il vermiglio che si produceva da un verme che esisteva nella pianura dell’Ararat. Fu proprio questa tinta di colore a conferire alla miniatura armena quel particolare ardore.
A tutti auguro una buona lettura.

Prof. Rita Martorana Tusa

I codici più frequentemente illustrati erano i Vangeli, la cui traduzione in armeno risale al V secolo. I codici riportano sempre il Tetravangelo, illustrato oltre che con figure a piena pagina, anche con elementi decorativi e figurativi a margine, destinati a evidenziare le letture evangeliche liturgiche. In tal modo il Libro assume anche la funzione di Evangeliario liturgico.
Le miniature più antiche che ci siano giunte sono quattro illustrazioni del Vangelo di Etchmiadzin, rilevante anche per lo straordinario rivestimento in avorio intagliato, tipicamente paleocristiano per stile e iconografia. Le miniature, risalenti al VI-VII secolo, raffigurano le Teofanie, secondo una iconografia tipicamente orientale.

ANNUNCIAZIONE
Vangelo di Etchmiadzin, VI-VII sec. Erevan, Matenadaran, N. 2374, f. 228 v.
Ho scelto quest’immagine in quanto la raffigurazione dell’Annunciazione mostra tutti gli elementi canonici dell’iconografia orientale più antica (la raffigurazione dello Spirito Santo comparirà solo nel XII secolo). A sinistra è raffigurato l’arcangelo Gabriele, le cui ali sono decorate con occhi come la coda del pavone. In base alla credenza secondo la quale il pavone perde ogni anno in autunno le penne che rinascono in primavera, l'animale è diventato simbolo della rinascita spirituale e quindi della resurrezione; inoltre i suoi mille occhi sono stati considerati emblema dell'onniscienza di Dio. Maria è in piedi, intenta alla tessitura, accanto a un trono di vimini, rivestito internamente di regale tessuto rosso, con il fuso nella mano sinistra e la destra poggiata al collo in atto di sottomissione. Indossa un pallio (il mantello drappeggiato sulla spalla, usato dai vescovi) e un maphorion (simbolo della regalità acquisita dalla persona umana attraverso l'Incarnazione di Cristo) violetti, e ha alla cintura un fazzoletto, simbolo del sacerdozio e allusione alla Chiesa. Ai suoi piedi la cesta da lavoro, che insieme al fuso allude al servizio di tessitura del velo del tempio svolto da Maria al Tempio di Gerusalemme, secondo il racconto del Protoevangelo di Giacomo, fonte principale dell’iconografia dell’Annunciazione. Le figure sono rappresentate davanti a un edificio di forme classiche, preziosamente decorato; indubbiamente il miniaturista voleva richiamare l’ambiente di una basilica paleocristiana.
Interessante evidenziare come i lineamenti dei personaggi, dalle sopracciglia marcate e scure, dai grandi occhi e dai volti ovali allungati, siano spiccatamente armeni. La perizia del disegno, l’intensa gamma coloristica, l’espressività delle figure, pongono queste miniature tra i migliori esempi di pittura paleocristiana.   

CRISTO CON GLI APOSTOLI PIETRO E PAOLO
Vangelo di Etchmiadzin, 989. Erevan, Matenadaran, N. 2374, f. 6
Copista Iovannes Noravank, Grande Armenia
La scena rappresenta Cristo Emmanuele seduto in trono fra Pietro e Paolo, i principi degli apostoli, come era uso in era paleocristiana. Le tre figure sono rappresentate sotto un arco luminoso ed elegante, simile a quello delle tavole di concordanza dei Vangeli, che prefigura l’ingresso nel Vangelo.
L’arco e tutti i motivi decorativi simboleggiano il cristianesimo, il paradiso, il cielo, la Chiesa. L’arco è composto da una lunetta, nel cui interno è presente una conchiglia, poggiata su un cornicione sorretto da due colonne con capitelli corinzi e basamenti a gradini. Il semicerchio superiore è formato da un motivo ad arcobaleno rosato. Sullo sfondo azzurro cielo della lunetta, intorno alla croce all’interno di un clipeo, incorniciato da foglie di acanto a forma di albero della vita, 2 uccelli (le anime dei fedeli) che sembrano beccare le foglie, “alimentandosi alla fede di Cristo”.
Negli angoli tra il cornicione e l’arco sono raffigurate foglie bicolori, simboli dell’Antica e Nuova Alleanza. Sopra l’arco tra gli arbusti di melograno (dolcezza del frutto sotto una scorza amara) quattro uccelli con il becco e le zampe rosse indicano gli Evangelisti che annunziano Cristo. Infine in cima il vaso a forma di coppa dal contenuto rosso, che testimonia la vittoria del cristianesimo, il sacrificio di Cristo.
Cristo Emmanuele è rappresentato imberbe, giovane e con una lunga croce della Resurrezione in mano, richiamando motivi paleocristiani. E’ assiso in trono sopra un cuscino rosso con un mantello rosso scuro. Ai piedi una pedana decorata con pietre preziose.
Alla sua destra è ritto Pietro con una barba bianca e i riccioli canuti. Un po’ insolito l’aspetto di Paolo, che presenta simili a Pietro il volto e le vesti. Le figure non poggiano su nessun basamento e sembrano librarsi nello “spazio infinito“ della Sacra Scrittura.

A partire dal IX secolo si definisce la sequenza canonica delle miniature dei vangeli, con un preciso valore simbolico. Introducono il Vangelo la lettera del vescovo Eusebio di Cesarea – il quale mise a punto un sistema  di dieci tavole che raffrontano i passi uguali dei quattro Vangeli, e ne spiegò l’uso in una lettera - e le tavole di concordanza (Choran, cioè arco, altare, volta celeste), proprio con il significato di Ingresso al Vangelo.
Ai choran segue la raffigurazione del Santo Sepolcro, in forma di tempietto, o della Croce su un basamento a gradini. Viene poi il sacrificio di Abramo come archetipo di Cristo. La Madre di Dio simboleggia l’Incarnazione, cui seguono le scene evangeliche. Il ciclo può essere completato dai ritratti degli apostoli e degli evangelisti. Spesso un intero foglio è occupato dalla croce.    
Nei Vangeli dei secoli successivi, XI-XII sec, dopo i choran vengono le miniature delle feste.
Le miniature più antiche quindi appartengono all’universo teologico e iconografico fondamentalmente bizantino, alla luce del quale ne va letta la complessa simbologia.
Gli stessi elementi ritroviamo nel primo codice illustrato integralmente: il Vangelo della regina Mlke, dell’862, che presenta una pittura di carattere classico.

ASCENSIONE
Vangelo della regina Mlke, 862. Venezia, Biblioteca dei Mechitaristi di S. Lazzaro, N. 1144, f. 8
L’Ascensione è una delle dodici feste principali, e rappresenta il compimento della missione terrena di Gesù, e l’inizio dell’attesa della sua seconda venuta.
Nella parte superiore è rappresentato Cristo in trono, figura della Chiesa celeste, in una mandorla ovale (simbolo della natura divina e umana di Cristo);  lo fiancheggiano due arcangeli, la scorta celeste che rimanda – anche nella posizione – ai soldati della guardia imperiale; alcuni angeli in volo lo innalzano da terra, ma la loro posizione, quasi orizzontale, e l’inclinazione del capo rimanda alle composizioni della Crocifissione e dell’esaltazione della croce.
In basso, al centro la Madre di Dio (simbolo della Chiesa terrena) nella posizione dell’Orante, affiancata simmetricamente dagli Apostoli.
L’Ascensione è sostanzialmente il trionfo di Cristo risorto, e la sua iconografia è la rivisitazione della tematica trionfale e dell’apoteosi della tarda antichità.
L’artista lavora ad ampie pennellate, sintetiche e costruttive, dai colori squillanti, in un gioco di rimandi cromatici che accentua la simmetria della composizione.

Dopo il 1080, a seguito dell’invasione dei Turchi selgiuchidi e della conseguente migrazione delle popolazioni, si forma il Regno Armeno di Cilicia, sulle rive nord-orientali del Mediterraneo. Al suo interno si incrociano le tre grandi culture: quella cristiana, quella musulmana e quella mongolica.
L’arte del libro raggiunge qui il proprio apogeo, grazie anche all’interesse manifestato dalla corte e dell’alto clero. I codici si sviluppano rielaborando motivi bizantini e motivi gotici occidentali, acquisiti attraverso i contatti con i crociati.
Nella miniatura cilicia vige una profonda armonia tra testo, decorazione e illustrazioni, e le miniature assumono i connotati di preziose opere di oreficeria. La Scuola di corte, che rappresenta il vertice dell’arte della Cilicia e della sintesi tra Oriente e Occidente, sbalordisce per la ricchezza dei motivi ornamentali e della sequenza illustrativa. L’elemento drammatico si accentua  e lo spazio diviene tridimensionale, affollato di figure che si esprimono mediante gesti e posture complesse. Il colore mostra molteplici sfumature, e la luce è resa attraverso un complesso sistema di lumeggiature.

RESURREZIONE
Lezionario del re Etum II, 1286. Erevan, Matenaradan, N. 979, f. 210 v.
Scuola di corte, Cilicia
Questa tavola è tratta da un Lezionario festivo che raccoglie le letture liturgiche per tutto l’anno, comprendente testi dell’Antico e del Nuovo testamento, dei Padri della Chiesa, preghiere. Il Lezionario di Etum II ne è l’esempio più ricco.  
Nella tradizione armena si è conservata la rappresentazione paleocristiana  della Resurrezione attraverso l’apparizione dell’angelo alle mirofore. L’angelo è raffigurato al centro della composizione seduto su una pietra come su un trono che indica il sepolcro vuoto. Una delle donne ha il vaso del myron e un’altra una spatola per l’unzione del cadavere. Sono raffigurate sullo sfondo di una collina sinuosa, caratteristica anche di altre miniature della Scuola di corte. A destra della composizione sono raffigurati i soldati immersi nel sonno e il sepolcro aperto e vuoto, su cui è chinato l’apostolo Pietro. Quest’ultima scena è introdotta dall’autore per sottolineare il fatto della Resurrezione e arricchire la narrazione.
Il sepolcro non è ritratto come una grotta, come la tradizione vuole, ma da una costruzione a cupola allusione alla chiesa circolare della Resurrezione costruita sopra il sepolcro di Cristo.
E’ una miniatura elegante, molto raffinata ed espressiva che denota anche una buona conoscenza anatomica.
Domina la figura dell’angelo, gerarchicamente di proporzioni maggiori, drappeggiata e graficamente rifinita, le cui lunghe ali fuoriescono dalla cornice determinando uno slancio dell’intera miniatura. Lo sfondo è oro, le vesti colorate delle mirofore conferiscono un carattere festoso all’intera scena.

NATALE
Vangelo di Malati, 1268. Erevan, Matenadaran, N. 10675, f.177
Artista Toros Roslin, Regno armeno di Cilicia
Questa miniatura è uno dei vertici dell’arte miniaturistica armena. Il pittore è Toros Roslin, profondo conoscitore dei canoni  iconografici, il quale raffigura in questa scena sia il Natale che l’Adorazione dei Magi.
Il Natale è interpretato come il miracolo dell’Incarnazione e dell’Adorazione universale del Dio fattosi Bambino, cui tutte le creature, dai sapienti alle creature inanimate, rendono omaggio.
La Natività vera e propria, con Maria adagiata e il Bambino nella mangiatoia, è circondata in una composizione a ritmo circolare dagli angeli esultanti, l’annuncio ai pastori, il bagno del Bambino, S. Giuseppe in meditazione.
Ogni elemento della composizione assume un preciso valore teologico: due pastori, un vecchio e un giovane, sorvegliano il gregge; i magi sono di tre diverse età e sono rappresentati con i caratteristici copricapi dei profeti e non come maghi orientali; Giuseppe esprime il dubbio e siede meditabondo in un angolo della composizione; al Bambino avvolto in fasce con il nimbo crucesignato si inchinano il bue e l’asino - simbolo rispettivamente degli ebrei e dei gentili, simbolo raddoppiato dalla presenza di pastori ebrei e magi gentili -.
Sopra il Bambino brilla una stella rossa e ancora più sopra si scorgono i raggi bianchi dello Spirito Santo in forma di colomba, che proseguono i raggi dorati provenienti dalla sfera celeste, simbolo di Dio Padre. Nella scena del Natale è dunque presente tutta la Trinità.
L’uso dei colori  - il rosso vivo del giaciglio regale di Maria, il rosso e l’azzurro predominanti nelle vesti – è sottolineato dalla presenza del fondo d’oro e conferisce alla miniatura un carattere di esultanza.
Il modellato definito dalle lumeggiature, le proporzioni armoniose e le pose vivaci, i particolari curati, conferiscono alla narrazione concretezza e naturalezza, e un’espressività attenta e delicata.

CROCE DEL CALVARIO E SECONDA VENUTA
Vangelo, 1585. Erevan, Matenadaran
Tempera su carta
Akob Dzugaetsi è l’ultimo grande maestro della miniatura armena, attivo tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.
La miniatura è densa di significati escatologici. Al centro appare la Croce come simbolo di vittoria e di salvezza; all’incrocio delle traverse Cristo benedicente all’interno di un clipeo, e negli spazi tra i bracci quattro angeli che annunziano col suono delle trombe la Seconda venuta. Compositivamente questa è associata all’Ascensione, dove pure Cristo è raffigurato in un medaglione sostenuto da angeli.
La scena descrive un evento universale che si svolge come una visione davanti al donatore inginocchiato: agli angoli superiori due semicerchi simboleggiano gli astri; gli angeli trombettieri si rivolgono alle estremità della terra; nella parte inferiore Cristo appare in un medaglione circondato dai simboli apocalittici degli evangelisti.
La fonte di ispirazione della composizione, prettamente bidimensionale e simmetrica, furono probabilmente i Chackar, dove si trovano i medesimi motivi iconografici. La compatta e scintillante fattura della superficie pittorica, invece, fa pensare ai tessuti orientali.

Grande è come abbiamo detto la varietà degli stili miniaturistici: ogni provincia ne detiene uno peculiare, che si trasforma nel corso dei secoli, e questo non è il luogo opportuno per una trattazione approfondita. Abbiamo voluto suggerire soltanto alcuni spunti di lettura, per essere facilitati nell’affrontare un mondo figurativo a noi nel complesso sconosciuto.

Prof Giuseppe Chiappa

Vorrei che ci lasciassimo questa sera con una frase di S. Gregorio di Narek contenuta in questa raccolta che abbiamo presentato: “Da te è la salvezza, da te l’espiazione, grazie alla tua destra l’esser nuova creatura, in virtù del tuo dito l’esser forti, dai tuoi precetti è la giustizia, dalle  misericordie tue la liberazione, dalla faccia tua l’esser illuminati, dal viso tuo l’esultanza, grazie allo spirito tuo l’esser buoni, con l’unzione del tuo olio il conforto, con la rugiada della tua grazia, la gioia. Tu dai la consolazione, fai dimenticare la costernazione, dissipi la tenebra dell’accoramento, cambi in risa il singhiozzo dei pianti”. Tutto questo, mi auguro, sia il desiderio più profondo del nostro cuore.

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