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MOSTRA SULL'EUCARESTIA: INTERVENTO SUL CONTENUTO ICONOGRAFICO DELLA MOSTRA di Maria Pia Demma e Rita Martorana Tusa

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INTERVENTO SUL CONTENUTO ICONOGRAFICO DELLA MOSTRA

(Maria Pia Demma e Rita  Martorana Tusa)

 
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In linea generale vorremmo sottolineare che le immagini scelte per la mostra, anche se di epoche e tecniche esecutive diverse, hanno in comune una vivacità realistica di narrazione del rapporto uomo-Dio, tranne qualche eccezione, in cui dinanzi alla presenza di Cristo è messa in gioco la libertà dell’uomo.

D’altra parte già dal Medioevo nei cicli rappresentativi e, in seguito, nelle singole scene religiose, si è dispiegata sulle pareti di chiese, cappelle, la Bibbia o le storie dei Santi, immedesimandosi nelle cui immagini la gente comune, non colta, addirittura analfabeta, ha imparato a conoscere e conservare nella memoria la storia sacra.

Infatti S. Gregorio Magno sosteneva che “la pittura insegna agli illetterati ciò che la Scrittura insegna ai letterati”.

La chiesa ha sempre permesso l’utilizzo delle immagini a scopo educativo, anzi dopo il Concilio di Trento, ha suggerito agli artisti di accostarsi il più possibile alla verità evangelica.

 

 

 

COPERTINA DELLA MOSTRA: OGGI DEVO FERMARMI A CASA TUA

 

 

La chiamata di Zaccheo.

Capua, basilica di S. Angelo in Formis. affresco

L’episodio fa parte del ciclo di affreschi raffiguranti episodi del Nuovo Testamento, situati nella navata centrale, risalenti al XI secolo, cioè al tempo della ricostruzione dell’edificio da parte dell’abate Desiderio.

La raffigurazione molto vicina all’essenzialità della pittura romano-bizantina, comunque narra con vivezza il rapporto fra Cristo e Zaccheo, tutto giocato sulla corrispondenza degli sguardi: Cristo togato, con il rotolo della legge non giudica, ma con sguardo amoroso chiama Zaccheo, che appare già cambiato nello stupore grato del volto.

 

 

PRIMA SEZIONE: “UNA SMISURATA INDIGENZA”

 

 

La chiamata di Zaccheo.

Venezia, basilica di S. Marco – mosaico

Facente parte del ciclo musivo della zona centrale della Basilica, realizzato nei primi decenni del XIII secolo, l’episodio sembra bloccare contro il fondo d’oro i protagonisti: Gesù domina la scena tenendo con una mano il rotolo della legge antica, ma la cambia con la “legge” dell’amore invitando Zaccheo ad un rapporto di amicizia, sotto lo sguardo attonito del gruppo isolato degli apostoli: Zaccheo stupito per quanto accadutogli si protende in avanti aderendo alla proposta.

 

 

André Collin, Povera gente.

Tournai, Musée des Beaux-Arts

Il pittore, francese o belga, (1862-1930) seguace della corrente realistica francese, di cui fa parte anche Millet, attenta ad una realtà quotidiana non solo contadina di provincia, vuol sottolineare l’atteggiamento di ringraziamento, all’interno di una situazione di povertà, verso il dono non sempre scontato del “pane quotidiano” che si coglie nella donna in preghiera e nell’uomo in silenzioso ascolto.

 

 

La raccolta della manna

Incisione acquarellata della Bibbia di Norimberga;

Londra, Stapleton Historical collection

Una delle tavole che illustrano la traduzione che della Bibbia fece in tedesco Martin Lutero.

In atteggiamento stupito dinanzi al dono di Dio sembra essere il personaggio di sinistra con una verga che si può identificare con Mosè: il popolo intanto si affanna a raccogliere il cibo secondo quanto Mosè aveva indicato per ordine di Dio. (Gen 16)

 

 

Edward Hopper, Stanze sul mare

New Haven, Yale University Art Gallery

Hopper (1882-1967) è il più noto e popolare artista americano del XX secolo, riconosciuto caposcuola del realismo americano. Nonostante l’apparente solitudine dei luoghi “non è la solitudine il significato fondamentale” delle sue opere. Hopper dipinge un’ora eterna. E’ questo momento oltre il tempo che Hopper aveva in mente. E’ un momento che può assumere accenti di solitudine. E’ però soprattutto, un momento in cui le cose quotidiane, non sono più strumenti ovvi, ma segni misteriosi.” (Elena Pontiggia, Edward Hopper pittore metafisico).

Forse la porta aperta sul mare infinito non vuole essere proprio un’apertura verso il Mistero infinito?

 

 

Mosè davanti al roveto ardente

miniatura dal Salterio di Ingeborg di Danimarca;

Chantilly, Musée Condé

La miniatura è un’arte che nasce prima con carattere prettamente decorativo all’interno dei monasteri. Poi serve ad illustrare i fatti dell’Antico e del Nuovo Testamento in libri usati per l’istruzione dei ceti aristocratici, o nelle raccolte di salmi (salterii) usati per la devozione privata, come in questo caso. L'opera di cui parliamo, un libro di preghiere privato, è un manoscritto miniato composto nel nord della Francia attorno al 1200 per Ingeborg di Danimarca, moglie del re di Francia Filippo II, contiene una cinquantina di miniature, ed è scritto  in gotico minuscolo.

Mosè il chiamato che vuole vedere il volto di Dio nella scena superiore, nella scena sottostante diventa il prescelto a divenire capo di un popolo: nell’angolo in alto Dio gli consegna le tavole della legge, cui tutta la storia ebraica farà riferimento.

 

 

L’ospitalità di Abramo

Mosaico – Ravenna, Basilica di S. Vitale

I mosaici di S. Vitale risalgono al periodo di Giustiniano (527-565), momento dell’ortodossia cristiana, dello splendore dell’Impero d’Oriente, in cui a Ravenna vennero creati capolavori di valore assoluto.

In un unico e breve spazio, con semplicità realistica, l’artista raffigura simultaneamente tre episodi consecutivi, in cui è efficacemente rappresentato il diverso atteggiamento dell’uomo dinanzi alla presenza e alla chiamata del Signore: alle querce di Mamre (Gen 18) improvvisamente Abramo riceve la visita di tre uomini misteriosi che ospita con generosità e che gli predicono la nascita di un figlio nonostante la tarda età sua e della moglie (al centro); la moglie Sara, scettica, sulla soglia della tenda ride (a sinistra); Abramo obbediente sta per sacrificare il suo unico figlio Isacco, ma la mano di Dio dall’alto interviene a fermare il gesto (a destra).

 

 

Jan Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria

Edimburgo, National Gallery of Scotland

Il dipinto (1655) è l’unico di soggetto religioso, e per di più di  grandi dimensioni, eseguito dal pittore olandese (1632- 1675) ancora giovane, appena convertitosi al cattolicesimo e sposatosi con una giovane di famiglia cattolica.

La scena drammatica è animata da un dinamismo che abbraccia l’atmosfera familiare fra tre amici in cui ognuno parla con franchezza. Carron commenta così l’episodio evangelico: “Gesù non mette in contrapposizione il fare di Marta e il contemplare di Maria; non critica quello che Marta stava facendo, ma sottolinea il modo di porsi dinanzi alla sua presenza: quella di Marta è una generosità, non una carità, perciò prima o poi ti presenta la “fattura”, cioè il conto.

Vuole sottolineare che tutto si gioca dinanzi alla presenza di Cristo, in qualunque situazione ci troviamo.

 

 

SECONDA SEZIONE: “IO SONO IL PANE DELLA VITA”

 

 

Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo

San Pietroburgo, State Hermitage Museum

Il grande pittore olandese (1606 – 1669) dipinge con grande realismo (1668-1669) l’abbraccio del perdono, quasi partecipando allo spettatore la sua esperienza di dolore paterno per la recente morte del figlio Tito.

Il Padre che, dimentico dell’errore del figlio, si piega ad accoglierlo in un grande abbraccio è in piena luce, mentre un abisso oscuro separa la gelosia dell’altro figlio e la perplessità degli uomini di legge che lo condannerebbero, posti sulla destra del dipinto.

 

 

Guarigione dei ciechi e degli storpi

Mosaico – Monreale, Duomo

La scena fa parte degli episodi evangelici narrati nelle navate laterali e realizzati, come tutta la decorazione musiva della chiesa fra la fine del XII e il XIII secolo, da mosaicisti bizantini, veneti e locali.

La scena è animata e piena di movimento per quello che accade: il perno è sempre Gesù il Signore, l’unico con l’aureola, che tiene sempre il rotolo della legge ma con lo sguardo compassionevole, benedicendo risana una umanità sofferente, fra lo stupore degli astanti e lo sguardo talvolta distratto dei discepoli che stanno alle spalle.

 

 

Duccio di Buoninsegna, Cristo e la Samaritana

Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza

Si tratta di una tavoletta che apparteneva in origine alla grande pala della Maestà che Duccio dipinge fra il 1308 e il 1311 per il Duomo di Siena. Sulla faccia anteriore è rappresentata la Madonna in trono col Bambino, attorniata da una schiera di angeli e santi. Sulla faccia posteriore nella predella in dieci storie erano riassunti gli anni della vita pubblica di Gesù, i 26 riquadri centrali erano dedicati alle storie della passione, morte e resurrezione di Cristo, mentre nel coronamento trovavano posto le apparizioni di Cristo risorto ai discepoli. Molte di queste parti sono ora smembrate e conservate in vari musei.

Ancora una volta la figura di Cristo, diventa “segno di contraddizione” e provocazione della nostra libertà: infatti al serrato dialogo e gioco di sguardi e mani fra Gesù e la Samaritana, che si svolge fuori dalla turrita città di Siena, si contrappone la perplessità dei discepoli che da quella escono.

 

 

Pane e pesci

Mosaico – Tabgha, chiesa della moltiplicazione dei pani

Il mosaico si trova insieme alla pietra su cui avvenne l’episodio evangelico, ai piedi dell’altare di un’antica chiesa bizantina a tre navate del VI secolo d. C., scoperta nel 1932, vicino al lago di Tiberiade in Galilea.

[N. B.  il commento rimane quello del catalogo]

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Juan de Juanes, Il Salvatore

Madrid, Museo Nacional del Prado

Il dipinto (1545-1550) si deve ad un pittore di Valenza, grande interprete del rinascimento spagnolo, attento alla pittura di Leonardo e Raffaello, che ha eseguito soprattutto pitture di carattere religioso, e ripetutamente sia “ultime cene” che altri “salvatore” molto simili a questo.

[N. B.  il commento rimane quello del catalogo]

 

 

Leonardo da Vinci, Ultima Cena

Milano, Santa Maria delle Grazie

L’affresco, dipinto (1495- 1497) per il refettorio del convento, mette bene in evidenza il moto di reazione che anima come un’onda tutti gli apostoli di fronte al duplice annuncio di Gesù, che perciò è visibilmente addolorato: da un lato il tradimento di Giuda (il quarto da sinistra) che nasconde in una mano un sacchetto di monete, mentre allunga l’altra per prendere il pane, mentre Pietro dietro di lui brandisce un pugnale; dall’altro l’indicazione del pane e del vino come suo corpo e suo sangue, che sconcerta gli apostoli. In entrambi i casi solo Giovanni rimane tranquillo.

La proposta o la provocazione di Cristo suscita sempre una risposta: il rifiuto o il si.

 

 

Giotto, Lavanda dei piedi

Padova, Cappella degli Scrovegni

La Cappella era stata costruita per volere del banchiere padovano Enrico degli Scrovegni, il quale voleva offrirla in suffragio per l’anima del padre. Fra il 1303 e il 1305 Giotto la decora con un complesso ciclo di affreschi in cui mette in scena l’Avvenimento cristiano, quello di cui la cristianità aveva fatto memoria nel Giubileo del 1300: le Storie di S. Anna e di S. Gioacchino, le Storie della Vergine e le Storie di Cristo; conclude il ciclo la visione del Giudizio Finale.

Nella scena della lavanda dei piedi colpisce innanzitutto il modo con cui Giotto ha descritto la psicologia dei personaggi, e il gioco drammatico dell’azione che evidenzia l’adesione di Pietro al disegno del Mistero e la presunzione di indipendenza di Giuda.

Questo è ancora più vero se si guarda allo stile della pittura di Giotto, che non si limita a rappresentare le Storie del Nuovo Testamento (questa non è una novità), e il mistero di Dio che si fa carne, ma quel mistero riveste di forme per la prima volta concrete, reali, tridimensionali: che Dio si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi non è solo il contenuto degli affreschi, ma è evidente nel modo stesso di rappresentare le figure.

 

 

Andrea Mantegna, Crocifissione

Predella della Pala di S. Zeno; Parigi, Musée du Louvre

Il Polittico fu realizzato da  Andrea Mantegna (1431 – 1506) tra il 1456 e il 1459 per l’altare maggiore della chiesa di S. Zeno a Verona. La Crocifissione si trovava sotto il pannello centrale con la Madonna e il Bambino. Il corpo di Cristo sembra dominare da protagonista sulla scena.

[N. B.  il commento rimane quello del catalogo]

 

 

Caravaggio, Deposizione nel Sepolcro

Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana

Nel dipinto eseguito da Caravaggio (1571-1610) tra il 1602 e il 1604 per la cappella Vittrice in S. Maria in Vallicella, il cui titolare è forse raffigurato in Nicodemo, Cristo sta per essere adagiato sulla lastra per essere lavato, unto, avvolto in un lenzuolo, prima ancora di essere posto nel sepolcro, secondo l’usanza giudaica e del Mediterraneo orientale. Da spirito autenticamente religioso Caravaggio (frequentava il circolo degli Oratoriani nella stessa Chiesa della Vallicella dell’ordine di S. Filippo Neri), sebbene dal temperamento irascibile, frequentatore di osterie e prostitute, si immedesima nel fatto drammatico e nei sentimenti di dolore dei personaggi coinvolgendo anche lo spettatore. Intorno al corpo pesante del Cristo morto, sono tutti i protagonisti colti nei loro diversi sentimenti di umano dolore, mentre Giovanni sfiora delicatamente il corpo di Cristo, all’altezza della ferita del costato, da dove sgorgarono sangue ed acqua, origine dei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. “E poi c’è la pietra che presenta a noi il suo angolo e che è, insieme al corpo di Cristo, la vera, silenziosa protagonista del quadro”, “la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo Sal 118”, non tutto è finito sulla croce, e “quando il celebrante eleva l’ostia essa si trova allineata con il corpo di Cristo e con l’angolo della pietra profetica”. ( Antonio Paolucci, Scheda di lettura in Catalogo della mostra su Caravaggio, roma 2010)

 

 

 

Andrea Mantegna, Ascensione

Firenze, Galleria degli Uffizi

La piccola tavola eseguita dal Mantegna per il Marchese di Mantova, Ludovico Gonzaga, tra il 1462 e il 1464, ben rappresenta nella luminosità e vivacità di colori il distacco, non triste, ma ricco di speranza dei discepoli, volti a guardare quel Gesù vittorioso che, benedicendoli dall’alto porta con sé l’umanità al Padre “vado a prepararvi un posto”, ma nello stesso tempo rimane sempre presente al fondo delle cose e dell’uomo in attesa della gloria futura “io sono con voi sino alla fine del mondo”.

 

 

Cristo giudice

Conques, portale dell’abbazia di Sainte Foy

Nel portale occidentale della chiesa abbaziale, sorta inizialmente in epoca carolingia, una delle tappe lungo il Cammino di Santiago di Compostela è Cristo raffigurato all’interno di una mandorla di luce, sovrastata da una croce, mentre alza la mano per giudicare, e con l’altra divide i dannati e gli eletti, i quali alla fine del cammino entreranno in Paradiso attraverso Lui-porta.

 

 

TERZA SEZIONE: “SIGNORE DA CHI ANDREMO?”

 

 

Masaccio: Il tributo

Firenze, Chiesa di S. Maria del Carmine

L’opera fa parte di un ciclo di affreschi dipinto fra il 1424 e il 1428 da Masaccio nella cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine a Firenze. Il soggetto del ciclo è la vita di S. Pietro, tratta sia dai Vangeli sia dagli Atti degli Apostoli.

L’episodio del Tributo fa riferimento a un episodio, tutto sommato abbastanza marginale, del Vangelo di Matteo (17, 24-27) nel quale è descritto l’ingresso di Cristo e degli apostoli nella città di Cafarnao. La scena rappresenta contemporaneamente tre momenti del racconto evangelico: al centro il gabelliere chiede a Gesù il tributo, la tassa, per entrare in città, che veniva devoluta al tempio di Gerusalemme; Gesù, per non trasgredire la legge ebraica incarica Pietro di pescare un pesce – ed è l’immagine sulla sinistra – e nella bocca del pesce Pietro troverà miracolosamente una moneta per pagare la tassa; a destra Pietro consegna il denaro all’esattore.

L’unità della scena è però data dalla presenza di Cristo, posto al centro di quello che è stato definito “un Colosseo di uomini”, in coincidenza con il punto di fuga dello spazio prospettico, quindi in coincidenza con il punto da cui si genera lo spazio stesso.

Masaccio mette bene in evidenza lo stupore e la perplessità degli Apostoli, ma soprattutto concentra la sua attenzione sull’intensità dello sguardo di Pietro, fisso nel volto di Cristo.

Il tema principale è certamente quello della libertà dell’uomo protagonista della storia, proteso a cercare il volto di Cristo; ma il gesto imperioso di Cristo che indica a Pietro l’acqua del lago da a costui un mandato, acquista il significato di una missione da compiere, e il  gesto di Pietro, che a sua volta lo riecheggia, indica l’accettazione del compito di guida della Chiesa.

 

 

Duccio di Buoninsegna: Apparizione di Gesù ai discepoli

Siena, museo dell’opera della Metropolitana

[per i riferimenti generali vedi Cristo e la Samaritana]

Questa è un’apparizione narrata nella chiusa del vangelo di Matteo. Gesù appare sul monte di Galilea e dà le consegne ai suoi apostoli,  e nel concludere il dialogo - è questa la frase che certamente ha voluto immortalare Duccio -, dice “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Infatti questi uomini sono così certi che la certezza non è solo nei volti ma quasi nei corpi. Duccio sottolinea certamente lo spazio vuoto tra i due gruppi, attraversato fisicamente però dalle mani protese di Cristo, ma attraversato ancora di più dall’intensità degli sguardi.

Il fondo d’oro di tradizione medievale esprime il senso della trascendenza divina dell’immagine raffigurata, così come le lumeggiature dorate della veste di Cristo, simbolo della sua divinità, ma i personaggi si dispongono sulla sommità di una collina, che ne amplifica la posizione reciproca. In Duccio la natura, come anche l’architettura, non sono semplicemente una quinta dell’avvenimento, ma in qualche modo ne partecipano, si modellano sull’avvenimento, in quanto, per una cultura autenticamente cristiana, tutta la natura, tutta la realtà soffre del dramma dell’uomo.

 

 

 

Duccio di Buoninsegna: Apparizione sul lago di Tiberiade

Siena, museo dell’opera della Metropolitana

Con questa storietta Duccio ha tradotto il capitolo ventunesimo del vangelo di Giovanni. I discepoli erano andati a pescare e non avevano preso nulla; appare Gesù sulla riva e dice di buttare la rete dall’altra parte e la rete si riempie di pesci. Giovanni che è al centro della barca lo riconosce “É il Signore” e Pietro si butta, dice il vangelo e qui Duccio cala un altro episodio evangelico e lo fa camminare sulle acque.

C’è questo bellissimo dialogo muto fatto di sguardi e di mani fra Gesù e Pietro con cui Duccio ha tradotto il famoso episodio del “Simone mi ami tu?” del ventunesimo capitolo di Giovanni.

 

 

 

QUARTA SEZIONE:  IL DONO PERMANE

 

 

Cena in Emmaus. Monreale, Duomo

I mosaici relativi al Nuovo testamento sono disposti nel Duomo di Monreale seguendo il percorso dell’anno liturgico; nel transetto troviamo le Storie della Passione, Morte e Resurrezione.

I mosaici di Monreale sono un’opera teologica (parlano di Dio) e teofanica (mostrano Dio). La decorazione musiva ha finalità didattica, cioè insegna la fede.

Nel mosaico della Cena in Emmaus il mosaicista ha costruito un’immagine basata  - secondo i canoni bizantini - su una rigorosa simmetria nella disposizione delle figure, degli oggetti e dei gesti dei personaggi; la frontalità delle figure riesce comunque ad evidenziare lo sguardo stupito dei discepoli, e il modo con cui le loro mani si volgono a Cristo.

 

 

Masaccio: San Pietro guarisce gli infermi con la sua ombra

Firenze, Chiesa di S. Maria del Carmine

Siamo sempre nella Cappella Brancacci. Pietro ha ricevuto – nel Tributo – il mandato di Cristo. La sua presenza è ora la presenza di Cristo stesso che si manifesta attraverso la Chiesa, e la Chiesa stessa non appartiene a un remoto passato, ma come anche nel Tributo, agisce ed è presente nella contemporaneità della storia umana, abbracciando e salvando tutto l’uomo con la sua miseria.

 

 

Raffaello: Disputa dell’Eucarestia

Città del Vaticano, Musei Vaticani, stanza della segnatura

Quest’affresco si trova all’interno dei Palazzi Vaticani, nelle stanze affrescate da Raffaello per il papa Giulio II.

Siamo nella cosiddetta Stanza della Segnatura, decorata fra il 1509 e il 1510 con dei soggetti che sviluppano un tema filosofico ben preciso: i concetti del Bene, del Bello e del Vero. Quest’ultimo, in particolare, è affrontato da due affreschi: la Scuola di Atene, che rappresenta la Filosofia, cioè la via umana per giungere alla verità, e la Disputa del sacramento, che rappresenta la Teologia, cioè la verità rivelata.

Raffaello organizza il dipinto su tre livelli: in basso i dotti, cioè la Chiesa militante, che discutono dell’ostia consacrata, posta sull’altare nell’ostensorio; al centro Gesù in trono con san Giovanni Battista e la Vergine (la Deesis), affiancato dagli apostoli, cioè la Chiesa trionfante; in alto Dio Padre nell’Empireo attorniato dagli angeli.

La deesis (dal greco "supplica", "intercessione") è un tema iconografico di matrice bizantina. Nella rappresentazione, in genere, si vede Cristo benedicente tra la Madonna e san Giovanni Battista in atto di preghiera e supplica per i peccatori.

Lo spazio in basso è costruito sulla base di una rigorosa prospettiva geometrica che ha il suo punto di fuga nell’ostensorio: è lo spazio degli uomini, regolato dalle leggi matematiche; Gesù siede su un trono di nuvole che formano un arco di circonferenza, in cui lo spazio è costruito dalla posizione delle figure; Dio Padre si eleva in un cerchio ancora più ampio in cui lo spazio fisico è annullato dalla presenza del fondo d’oro.

Ma cosa unisce questi tre livelli, che cosa unisce la Chiesa militante alla Chiesa trionfante?

Sull’asse centrale del dipinto si dispongono, dall’alto: Dio, Cristo, lo Spirito Santo e l’ostensorio. La colomba e Gesù sono racchiusi all’interno di un cerchio che amplifica la forma dell’ostia. L’Eucarestia, in cui è presente Cristo, unisce la terra al cielo, e rende sperimentabile l’unità celeste di Cristo con il Padre.

 

 

 

Ugolino di Prete Ilario: il miracolo di Bolsena; Le reliquie del miracolo eucaristico recate al Papa

Orvieto, Duomo, cappella del Corporale

Nata per serbare la perpetua memoria del Miracolo Eucaristico di Bolsena (1263) custodendo degnamente la reliquia del Sacro lino, la Cappella del SS.mo Corporale rappresenta, con l'intero schema decorativo, un atto di riverenza verso il Corpo di Cristo e la piena affermazione del culto eucaristico ad Orvieto nel tardo Medioevo.

I Soprastanti dell'Opera deliberarono la costruzione della Cappella nel 1350, scegliendo la testata nord del transetto; la decorazione pittorica iniziò l'anno successivo e fu affidata al maestro orvietano Ugolino di Prete Ilario. Questi, coerentemente alla destinazione della cappella, raffigurò con grande vivacità narrativa non solo gli episodi della Messa di Bolsena, ma in generale il mistero della Transustanziazione. Infatti, oltre al miracolo di Bolsena, sono raffigurati diversi altri miracoli che mostrano la reale presenza del corpo di Cristo nella Particola consacrata. Completano la decorazione scene della Passione di Cristo e in particolare la raffigurazione dell’Ultima Cena, appunto l’istituzione dell’Eucarestia.

 

 

Francois Millet: l’Angelus

Parigi, Musée d’Orsay

Millet è un pittore della metà dell’800, appartenente alla corrente del Realismo. Il Realismo è una corrente pittorica caratterizzata dalla scelta di soggetti umili e banali, rappresentati in maniera cruda, oggettiva, con una forte connotazione di denuncia sociale.

Millet, però, che era figlio di contadini, pur con lo sguardo attento al vero e agli aspetti più drammatici del lavoro nei campi,  che l’artista rappresenta con oggettività assoluta e senza atteggiamenti pietistici, riesce a cogliere la dignità e la sacralità dei gesti più umili: il gesto immobilizzato delle due figure, la monumentalità dei loro corpi, la vastità spaziale, conferiscono alla scena un respiro epico, che rende evidente ciò che costituisce la vita dell’uomo.

 

 

Scuola di Domenico Ghirlandaio: Opere di misericordia; Dare da bere agli assetati

Firenze, oratorio di San Martino dei Buonomini

Vicino al grande monastero della Badia Fiorentina esisteva una chiesetta fondata probabilmente nel X secolo, chiamata San Martino al Vescovo. Patronata da importanti famiglie della zona come i Donati e gli Alighieri (la Casa di Dante sorge infatti ad appena un isolato), è tradizionalmente il luogo indicato per il matrimonio di Gemma Donati con Dante Alighieri.

La Compagnia dei Buonomini di San Martino fu fondata nel 1441 con lo scopo di soccorrere "i poveri verghognosi", ovvero le famiglie benestanti cadute in disgrazia per via delle lotte politiche, di rovesciamenti economici e altro, i quali, per pudore, non chiedevano elemosine pubblicamente. All'epoca i confrati portavano in genere un manto nero ed una specie di copricapo in testa, come sono ben riconoscibili negli affreschi dell'oratorio.

Gli affreschi sono generalmente ascritti a un autore della bottega di Domenico Ghirlandaio, e raffigurano le Storie di san Martino e le Opere di misericordia. Le lunette hanno un grande interesse sociologico e storico, oltre che artistico, perché ritraggono con fedeltà la vita comune della Firenze del Quattrocento.

 

 

Berthold Futmayr: l’Albero della vita

Miniatura Dal Messale dell’Arcivescovo di Salisburgo, 1481

Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, f. 60v

L’ambientazione è nel giardino dell’Eden, dove fruttifica l’albero del bene e del male, che da una parte ha un teschio e dall’altra una croce. Questo però, produce insieme le mele del peccato e le ostie. A sinistra sta Eva, riceve il frutto dal serpente e a sua volta lo porge agli uomini, sui quali incombe lo scheletro della morte. A destra Maria, coglie le ostie e dà la comunione agli uomini protetti da un angelo. Adamo giace a terra sconsolato.

La miniatura offre un repertorio iconografico molto complesso e denso di rimandi. La presenza di Maria richiama la promessa che viene fatta al serpente: una donna ti schiaccerà il capo; Maria è considerata la nuova Eva, perché come Eva è la progenitrice carnale del genere umano, Maria è colei che, generando Cristo, ha fatto rinascere il genere umano alla vita eterna. Tale contrapposizione è accentuata nella tradizione esegetica dall’anagramma del nome di EVA, che dà AVE, cioè il saluto angelico. Infine la presenza della croce non allude solo al sacrificio redentore di Cristo, ma anche alla legenda della Vera Croce, secondo la quale il legno della croce di Gesù fu ricavato dall’albero del bene e del male.

 

 

Caravaggio: Vocazione di Matteo

Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi,

cappella Contarelli

Nel 1599 Caravaggio dipinge per la Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma tre storie della vita di san Matteo, e con queste opere si affaccia sulla grande scena romana con dei dipinti di soggetto sacro.

La Vocazione di Matteo è una tela rivoluzionaria. Caravaggio ambienta la scena in una spoglia osteria, una di quelle che lui  assiduamente frequentava, e in questo povero scenario fa agire dei personaggi presi dalla realtà quotidiana e ritratti senza idealizzazioni, negli abiti della loro epoca. Ma improvvisamente entrano due persone vestite in maniera diversa, “all’antica”, con i piedi nudi; uno di essi – ci accorgiamo solo dopo che sul capo ha una sottile aureola – indica uno del gruppo con un gesto perentorio: “Tu, vieni e seguimi”.

Le persone sedute reagiscono diversamente a questo evento: alcuni continuano assorti a contare il denaro, altri alzano lo sguardo ma in modo totalmente privo di qualunque interesse; solo uno rivolge lo sguardo a Gesù, e ne ripete il gesto indicandosi perplesso: “ma chi, io?” – eppure già pronto ad alzarsi e a seguire quell’invito.

Cosa eleva questa scena dalla banalità e scontatezza della quotidianità? La luce, che entra in diagonale insieme a Cristo – ma non capiamo da dove venga – e, sfiorandone radente la mano, crea un drammatico contrasto di luce e ombra che porta il nostro sguardo a posarsi su Matteo. È una luce fisica, drammatica, contrastata, ma è insieme luce divina, soprannaturale: la luce della grazie che irrompe nel qui e ora della vita di Matteo e lo pone drammaticamente di fronte a una scelta: continuare a contare i denaro o seguire quel fascino appena intuito ma già prepotente.

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