...nihil humani a me alienum puto

Recensioni Film Cineforum 2016

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USA 2009

Regia di: John Hillcoat
Cast principale: Viggo Mortensen, Charlize Theron, Kodi Smit-McPhee, Robert Duvall
Target: adulti

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In un’America ridotta a deserto, un’uomo sofferente e il suo giovane figlio cercano di sopravvivere, in un viaggio verso l’oceano.

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SCHEDA FILM

Davanti al crollo delle evidenze, tutto il problema è se si genera un soggetto in grado di avere una consapevolezza tale della propria natura, della propria esigenza umana, da non lasciarsi travolgere da immagini ridotte e soluzioni parziali, che non danno alcuna soddisfazione.” (da “La Bellezza disarmata” di Julian Carron).

The Road è un film del 2009 diretto da John Hillcoat tratto dal romanzo di Cormac McCarthy La strada, pubblicato nel 2006 e vincitore del Premio Pulitzer nel 2007. Protagonisti della pellicola sono Viggo Mortensen e Kodi Smit-McPhee, che interpretano padre e figlio in viaggio verso sud, cercando di sopravvivere in uno scenario post apocalittico, in mezzo a un mondo spento, privato di quasi ogni scintilla vitale. È un film che colpisce allo stomaco e capace di tenere lo spettatore in uno stato di ansia solo in virtù del non detto. Il mondo descritto è angosciante: si arriva a desiderare la vista di un uccellino, di un animale, fosse anche un insetto. Si arriva a odiare il grigio, ad anelare il rassicurante chiarore della fiamma di una candela, a partecipare con i protagonisti alla lotta per la sopravvivenza. Non è però possibile ridurre “La Strada” solo a questo.

The road ci dice infatti che «l’uomo non è morto». Quello che potrebbe essere l’ultimo uomo del mondo se ne va con suo figlio, senza alcuna speranza di salvezza dopo che il mondo è stato completamente distrutto. Cosa li muove? La speranza di farcela? O una promessa più grande? È una domanda alla quale tutti dobbiamo rispondere personalmente. È tutta una questione di libertà. L’eroismo è questo, e non c’è per questo un giorno che sia diverso dall’altro. Il figlio sta di fronte al padre morente: «“Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto?”. L’uomo sputò un grumo di sangue e catarro sulla strada: “Alzarmi stamattina”, disse». Ma se, anziché essere l’ultima mattina della vita di quell’uomo, fosse una mattina normale, una come tante, il discorso potrebbe essere ripetuto pari pari. Qual è la forza che permette a un uomo di alzarsi la mattina da uomo? Questo è il problema, questo è l’essere o non essere. E noi ci giochiamo ogni mattina su questa cosa. Ciò di cui il film parla è la fine della civiltà. Ma quanta fine del mondo c’è in ogni fine. Pensiamo a quante cose abbiamo già fatto per l’ultima volta, anche se non lo sappiamo. Insomma, se ci dicessero che tra un’ora ci sarà la fine del mondo cosa faremmo noi? La vera sfida è di natura culturale e il suo terreno è la vita quotidiana. Nessuno può stare in piedi, avere un rapporto costruttivo con la realtà, senza qualcosa per cui valga la pena vivere, senza una ipotesi di significato. “Se egli non è parola di Dio allora Dio non ha mai parlato.”
Da dove ripartire allora? Malgrado tutto, nell’animo dell’uomo rimane, come diceva Cesare Pavese, un «punto infiammato». Ed è intorno a tale punto infiammato che può ruotare una proposta veramente corrispondente all’umano. Papa Francesco lo ha identificato con chiarezza: «L’uomo non è un essere tranquillo nei propri limiti, bensì un essere “in cammino” […] e quando non entra in questa dinamica si annulla come persona o si corrompe. Il mettersi in cammino è dovuto a un’inquietudine interiore che spinge l’uomo a “uscire da sé”. […] C’è qualcosa, fuori e dentro di noi, che ci chiama a compiere il cammino». Questa inquietudine, rimane in fondo all’essere dell’uomo. Essa indica la profondità e l’ampiezza del desiderio, il punto infiammato del cuore. Il cuore è la prima sfida. Quello che manca oggi per poter affrontare in modo credibile la sfida del bene, della giustizia, della verità, noi diremmo, la sfida del cuore, perché il nostro cuore è la prima sfida.«Ce la caveremo, vero, papà? Sì. Ce la caveremo. E non ci succederà niente di male. Esatto. perché noi portiamo il fuoco. Sì. Perché noi portiamo il fuoco»


Centro Culturale "Il Sentiero".

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Regia: Pawel Pawlikowski 
Cast principale: Agata Trzebuchowska, Agata Kulesza, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik, Adam Szyszkowski, Jerzy Trela
Origine: Danimarca, PoloniA, 2013

Durata: 80'

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SCHEDA FILM

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IDA

La libertà e il compimento

Non c'è altro accesso alla verità se non attraverso la libertà e questo percorso è sempre drammatico. La verità può essere in grado di attrarre la libertà e di compiere la ragione.

Dopo il primo film con il quale abbiamo proposto il tema del crollo delle evidenze e dell'esigenza, per poter percorrere “la strada”, anche al limite delle condizioni dell’umano, di un soggetto in grado di avere consapevolezza della propria natura, di quel "punto infiammato" dicevamo, la pellicola di questa sera ci condurrà ad interrogarci sul percorso a cui è chiamata la ragione e sul tratto costitutivo dell’essere umano: la libertà.

“Il nostro rapporto con il reale è caratterizzato a ogni livello dalla libertà: ognuno di noi può scegliere di realizzarsi oppure di perdersi, può dire di sì o di no a ciò che lo compie. È questo il rischio che il Mistero ha voluto correre creando l’uomo libero ed è questo che tante volte ci procura vertigine e paura, fino allo scandalo.

A tal punto fa paura che “potrebbe indurre a pensare che, siccome l’esercizio della libertà è rischioso, allora la via più sicura per difenderci sarebbe quella di farla fuori. Ma la capacità di decidere è nella natura dell’uomo, non la si può eliminare, occorrerebbe modificare la struttura stessa dell’io.”

Non si parlerebbe di “uomo” al di fuori della sua libertà. Questo lo sa bene l’autore di questo film, che presenta una protagonista chiamata ad attraversare tutto il percorso della ragione, andando a toccare fin nell’infimo della miseria umana, capace di male meschino per un mucchio di terra e calce. Un percorso che non si esaurisce nella mera indagine di un passato che non si può far ritornare, ma che è investito dalla domanda sul proprio compimento. Un percorso che richiede un paragone continuo con cuore e ragione.

La caratteristica della ragione infatti è quella di accedere a domande inesauribili, domande che hanno dentro una esigenza di totalità: “In quelle domande l’aspetto decisivo è offerto dagli aggettivi e dagli avverbi: qual è il senso ultimo della vita, in fondo in fondo di che cosa è fatta la realtà? Per che cosa vale veramente la pena che io sia, che la realtà sia? Sono domande che esauriscono l’energia, tutta l’energia di ricerca della ragione e che esigono una risposta totale che copra l’intero orizzonte della ragione, esaurendo tutta la “categoria della possibilità”. C’è una coerenza della ragione infatti che non si arresta, se non arrivando a una esaurienza totale. Montale scriveva:

Sotto l’azzurro fitto

del cielo qualche uccello di mare se ne va;

né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto

più in là!’ ”  

Queste riflessioni, che abbiamo tratto dal libro “La bellezza disarmata” di Julian Carron, introducono bene, a parer nostro, questo film in cui l’avverbio che ci conduce nel profondo è quello di una domanda ripetuta in un dialogo decisivo: “E poi?”.

Note tecniche:

Ida è un film del 2013 diretto dal regista polacco Pawel Pawlikowski. Ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali che sono culminati nel 2015 con la vittoria del Premio Oscar per il Miglior film straniero.

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Centro Culturale "Il Sentiero".

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Italia 1957, 110′
Genere: drammatico
Regia di: Federico Fellini
Cast principale: Giulietta Masina, François Périer, Amedeo Nazzari, Franca Marzi
Tematiche: incontro, miracolo, amore, grazia
Target: adulti

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Cabiria è una prostituta, inguaribilmente romantica, e convinta che prima o poi troverà l’uomo dei suoi sogni. Intanto però incontra solo uomini che la sfruttano, ma continua a sperare, a coltivare il sogno di cambiar vita…

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SCHEDA FILM

 

"L'affermazione della esistenza della risposta, come implicata nel fatto stesso della domanda è la nostalgia... nessuno potrebbe provare nostalgia di qualcosa, di qualcuno, se non perché quel qualcosa o qual qualcuno c'era o c'è"

 

(da “La Bellezza disarmata”)

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Uno dei film più belli di Federico Fellini, ma anche meno ricordati in celebrazioni e ricordi del grande regista riminese, nonostante l’Oscar come miglior film straniero.

 

Le notti di Cabiria è un film sull’indomabilità del cuore, di un cuore – quello della tenera ma anche cocciuta e divertente Cabiria - che non si arrende nonostante mille delusioni, violenze, angherie. E che desidera, ma non sa bene cosa: forse un uomo buono, certamente cambiare vita.

 

E quando il cuore rimane puro, tra le nefandezze della vita, può anche accorgersi dell'approssimarsi di qualcosa di nuovo. 

 

Che si potrebbe azzardare a definire Grazia, il personaggio di Cabiria disegnato da una bravissima Giulietta Masina (premiata come migliore attrice a Cannes, conoscerà con questo film la sua consacrazione internazionale), per una volta sfugge in parte dal controllo del marito-burattinaio  In questo modo, però, riesce a superare quella dei bozzetti pur toccanti di altri suoi “caratteri” famosi come Gelsomina (sempre con Fellini, in La strada) o di Fortunella (con Edoardo De Filippo) per acquistare un’umanità dolente più precisa e a noi riconoscibile. 

 

Perché proponiamo questo film come un cammeo nel Cineforum di quest'anno che ha da leitmotiv la Bellezza disarmata? 

 

Cabiria fa un percorso di conoscenza e di consapevolezza della natura del suo desiderio. Ciò è visibile dalla diversa reazione che ha al primo fatto che le accade rispetto all'ultimo... Il suo desiderio di cambiamento di vita ha la possibilità di palesarsi durante il pellegrinaggio al Santuario del Divino Amore  (spunto evidente della giovanile formazione religiosa del regista).

 

Gli incontri sono diversi, anche con uomini buoni, il volontario e l'uomo di successo, ma a poco a poco anche quelle certezze su cui era basata la sua vita, come per esempio la casa, "io non ho mai dormito sotto i ponti" viene meno.

 

Il miracolo comunque c'è stato, è in corso, nel commovente finale, che ancora colpisce al cuore a distanza di tanti anni (il grande critico Andrè Bazin lo definì tra i più geniali della storia del cinema), con quello sguardo in macchina dolce e fulminante che coinvolge noi nelle sue vicende e nel suo giudizio: la vita può avere ancora una possibilità di bene, ti può fare ancora sorridere, se si incontra qualcuno che ti coinvolge con la sua compagnia.

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 Centro Culturale “Il Sentiero” e Sentieri del cinema

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Gran Bretagna/Irlanda  2014, 104’
Genere: Drammatico
Regia di: John Michael McDonagh
Cast principale: Brendan Gleeson, Chris O’Dowd, Kelly Reilly, Aidan Gillen, Marie-José Croze, Domhnall Gleeson
Tematiche: Chiesa cattolica, peccato, perdono, vendetta, paternità, morte, pedofilia.
Target: da 16 anni

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Un uomo in un confessionale rivela a padre James Lavelle di essere stato molestato da bambino da un sacerdote: si vendicherà uccidendo lui, un buon prete senza colpe, di lì a una settimana

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SCHEDA FILM

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«Non disperare: uno dei due ladroni fu salvato. Non illuderti: uno dei due ladroni fu dannato»

È una questione di libertà, come ricorda la frase di sant’Agostino posta ad esergo della pellicola:

«C’è parecchia merda in giro», dice padre James che troverà conforto solo nel dialogo con l’unica

figura che non appartiene al microcosmo indiavolato del suo villaggio: una donna, che come una

Beatrice gli suggerirà la sottile eppur netta certezza su cui si basa la fede cattolica: la salvezza non

è probabile, è possibile. È una questione di libertà, come ricorda la frase di sant’Agostino posta ad

esergo della pellicola: «Non disperare: uno dei due ladroni fu salvato. Non illuderti: uno dei due

ladroni fu dannato»

[...]

Può un innocente sopportare tanto male? E fino a quando? E perché? E a che prezzo?

McDonagh ha spiegato che Calvario fa parte di una trilogia iniziata con The Guard.

Là era un poliziotto puttaniere e inaffidabile che affrontava una banda di trafficanti di droga fino allo scontro finale.

Qui è un prete manesco che deve decidere se presentarsi una domenica sulla spiaggia per guardare

negli occhi il suo assassino.

Il terzo film prenderà ispirazione da un racconto di Flannery O’Connor, Gli storpi entreranno per primi e narrerà di un paraplegico scorbutico e problematico.

E poiché ogni storia universale è sempre una storia familiare, McDonagh ha ambientato il primo

film a Galway, terra natia del padre, il secondo a Sligo, contea di provenienza della madre, e il

terzo a Londra, la città in cui è cresciuto. In tutti e tre i casi, ha detto il regista, si tratta di uomini

costretti a entrare in battaglia con qualcosa «di più grande di loro».

Che è un po’ quello che accade ai personaggi della O’Connor, perennemente sfidati e sfidanti i

demoni terrestri e gli angeli celesti. Ed è quello che accade a padre James che col procedere del

suo calvario vede consumarsi giorno dopo giorno non solo la sua anima, ma anche il suo corpo, via

via sempre più ricoperto di cicatrici, ferite, stigmate. Ogni giorno ha il suo demone da combattere,

ma anche il suo angelo da sfidare, come insegna Giacobbe.

«Si parla troppo di peccati e poco di una virtù sottovalutata, il perdono» dice il protagonista,

in quello che può essere considerato il messaggio esplicito del film.

L’altro, quello suggerito, è che c’è sempre all’inferno qualche santo consapevole della propria drammatica insufficienza.

Eppure, ha spiegato il regista, «come nei western di Sergio Leone, c’è sempre un prete, là, da qualche parte».

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 Centro Culturale “Il Sentiero” e Sentieri del cinema

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Germania 2006, 137′
Genere: Drammatico, Spionaggio, Storico
Regia di: Florian Henckel Von Donnersmarck
Cast principale: Ulirch Muhe, Sebastian Koch, Martina Gedeck
Tematiche: Storia contemporanea, socialismo reale, spionaggio, dissenso
Target: da 14 anni

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Nella Germania Est comunista dei primi anni ’80, il famigerato servizio segreto denominato Stasi controlla tutto e tutti. Non sfuggono nemmeno gli artisti, sia i dissidenti che quelli più vicini al regime. A volte per ragioni futili, come la passione morbosa di un ministro per un’attrice teatrale, che lo porta a far controllare da vicino il suo compagno, il drammaturgo Georg Dreyman, considerato “amico”. L’obiettivo è farlo cadere in disgrazia per poterne avere la donna. A essere incaricato della “missione” è l’integerrimo capitano Wiesler, fra i più efficienti uomini della Stasi.

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SCHEDA FILM

 

La bellezza contro l’ideologia

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"La persona ridotta dal potere ritrova se stessa solo in un incontro vivo, vale a dire in una presenza in cui si imbatte e che sprigiona un'attrattiva."

"Per un io che ha fame e sete, le offferte del potere sono briciole, perchè sa che nessuna elargizione può bastare, nessun posto al sole è sufficiente a soddisfare il suo bisogno, questo io sa dove trovare riposo, un riposo all'altezza delle sue esigenze costitutive."

da La bellezza disarmata di Julian Carron. Rizzoli 2015.

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Le vite degli altri è stato premiato dall’Oscar come miglior film straniero, è un film che in modo efficace e avvincente parla di storia contemporanea, attraverso la vicenda di alcuni uomini che vivono nella Germania dell’Est dei primi anni ’80, quando questa si chiamava ancora DDR ed era una repubblica socialista, sotto l’egemonia comunista sovietica, ben lontana anche dal sospettare il futuro crollo del muro.

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Nella Germania Est comunista dei primi anni ’80, il famigerato servizio segreto denominato Stasi controlla tutto e tutti. Non sfuggono nemmeno gli artisti, sia i dissidenti che quelli più vicini al regime, a volte per ragioni futili.

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A essere incaricato della “missione” è l’integerrimo capitano Wiesler, fra i più efficienti uomini della Stasi, che ha il compito di spiare una coppia, entrando nella loro vita, controllarla, manipolarla.

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Ma l'intreccio tra le loro esistenze e la sua avrà effetti sorprendenti: la bellezza di una musica inizia a incrinare un cuore di pietra. E a suscitare un amore per la libertà dell’altro assolutamente sconosciuto. Fino a ribaltare un’intera esistenza dedita alla menzogna per il Potere e l’ideologia e a mentire per salvare le “vite degli altri” senza pretenderne gratitudine.

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Le vite degli altri cattura subito lo spettatore in una tensione che lascia senza fiato, al vedere come la vita di qualsiasi cittadino possa essere stata controllata fin nei particolari più insignificanti, e questo da un regime per il quale anche una barzelletta poteva essere motivo di essere classificati come “nemici del socialismo” e quindi perseguitati. Ma il film inequivocabilmente grida come la percezione della verità possa spingere a rifiutare una vita costruita su in ideale menzognero, per cercare una libertà che è soprattutto pace con la propria coscienza.

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“Non c’è altro accesso alla verità se non attraverso la libertà. La storia è lo spazio del dialogo nella libertà: che non vuol dire spazio vuoto, deserto di proposte di vita. Perché del nulla non si vive. Nessuno può stare in piedi, avere un rapporto costruttivo con la realtà, senza qualcosa per cui valga la pena vivere”.

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Non è un'idea, per quanto giusta, che può portare alla decisione di cambiare la nostra vita ma solo l’incontro con persone nella cui vita si documentino una coscienza nuova e più profonda di sé e della realtà, in tutte le dimensioni del vivere, un desiderio interamente dispiegato, una capacità di gratuità, di letizia e di costruttività normalmente irreperibili.

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Non è forse questo l’incontro che tutti anche inconsapevolmente attendiamo? Questo è allora il contributo che siamo chiamati a dare oggi più che mai: la testimonianza di una «bellezza disarmata», di una pienezza di vita possibile.

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.Centro Culturale “Il Sentiero”

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