...nihil humani a me alienum puto

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"Con Occhi  Nuovi"


Visita guidata notturna con lettura di brani  legati ai luoghi

del "Mandamento Tribunali" di Palermo



a cura di
Rita Martorana Tusa e Filippo La Porta - Palermo 18 ottobre 2008


PREMESSA

Questa prima visita guidata, dell’anno sociale 2008-2009 , del Centro Culturale Il Sentiero, si presenta con alcune novità rispetto al passato.

La prima novità deriva dall'ora. Inoltrarci nel centro storico della nostra città dopo le 21,00  consente di conoscerne alcuni angoli caratteristici, sperando così di poter  notare aspetti e dettagli che talvolta sfuggono, soprattutto quando vi transitiamo di fretta o preoccupati di raggiungere la nostra meta. Intendiamo  in tal modo richiamare la vostra attenzione non solo su palazzi, vie e  monumenti, più o meno già noti, ma anche sulla vita che tra di essi si svolge.

Vi invitiamo, dunque fin d’ora, a soffermarvi e a discutere su quanto vedrete e  colpirà la vostra attenzione. Vogliamo anticiparne solo alcuni, quelli che  hanno colpito noi e che ci sono parsi più contraddittori. L’illuminazione. Il  nostro centro storico è dotato di una illuminazione sufficiente a consentirne  una fruizione anche di sera.

Questo elemento, oltre a sfatare il mito di un centro storico pericoloso e fatiscente, diviene lo strumento più utile per potere  guardare con attenzione molti particolari che altrimenti sfuggirebbero. La sporcizia. Pur dovendo premettere che la raccolta della nettezza urbana avviene nelle ore notturne, non sfugge il fatto che essa si trova in grande  quantità senza alcun ordine o cura. Questi due elementi portano ad una prima valutazione. Non bastano servizi più o meno efficienti per rendere più vivibile una città.

Occorre una cura e un’affezione di quanti vi abitano tale da farla percepire come propria, non solo all’interno delle abitazioni, ma anche per le  sue strade. In passato non vi era una netta separazione tra casa e strada, perché la vita si svolgeva molto per le strade. L’impianto viario del centro storico è frutto di quella concezione; oggi sembra che tutto ciò sia frutto del passato e le strade sono diventate semplici vie di comunicazione. Per tornare a vivere ed amare queste strade ci vuole una educazione e un amore al bene comune che nessuna legge potrà imporre. La ristrutturazione. Nel percorrere le strade del centro storico non basta fare attenzione a dove mettere i piedi, ma è bene guardare in alto per ammirare la quantità di case e palazzi restituiti all’antico splendore dopo un’ampia opera di ristrutturazione. Aumentano di giorno in giorno gli edifici, piccoli o grandi che, dopo grandi investimenti, sono restituiti alla comune fruizione. Tutto ciò vuol significare che al di là del luogo comune il nostro centro storico non è abbandonato, ha degli abitanti ed una vita che non sempre la città conosce e sa apprezzare.

La seconda novità è il tentativo di legare la visione con la spiegazione di alcuni monumenti particolarmente significativi, per comprendere meglio il rapporto che legava quei monumenti alle persone o al periodo storico in cui furono costruiti. Infatti, l’importanza di un bene architettonico non può essere limitata al suo valore artistico od estetico, ma deve essere messa in rapporto con la vita e l’esperienza di quanti vi hanno abitato o lavorato. Per questo motivo ci soffermeremo davanti ad alcuni monumenti, magari meno noti di altri, perché pensiamo che possano aiutarci a rileggere un pezzo della storia di questa città, che ha sviluppato tutta la sua vita, ad eccezione degli ultimi due decenni, sempre all’interno delle mura che delimitavano quello che noi oggi chiamiamo centro storico.

La terza è frutto dell’esperienza che abbiamo maturato nel corso degli altri anni e delle visite guidate che abbiamo promosso. Concluderemo con un momento di convivialità durante il quale fare insieme un brindisi e scambiarci le impressioni della serata. Lo faremo nella terrazza di palazzo Petrulla, un palazzo storico che si rivolge verso il mare. Dedicheremo al mare l’ultima attenzione; perché questa città che in passato ha avuto nel mare una e forse la più importante risorsa, sembra che oggi gli abbia quasi voltato le spalle. Palermo infatti, ad onta del suo nome, non ha più un accesso facile e diretto al mare tale da poter essere fruito dai suoi abitanti e questo fatto incide significativamente sulla vita di tutta la città.




PRIMA SOSTA: IL MONASTERO DELLE REE PENTITE

 

Per comprendere meglio il rapporto tra bene architettonico, fruizione e significato sociale abbiamo scelto come prima tappa la Chiesa delle Ree Pentite. Ciò che ci ha colpito è stato il richiamo ad una vicenda di grande attualità: la problematica della prostituzione. Essa ci ricorda come che già nel Seicento la Chiesa, nel farsi carico di alcuni e più urgenti problemi sociali che emergevano dalla società, non si sottrasse a quella dell’accoglienza delle prostitute nella fase terminale della loro vita. L’operosità sociale della Chiesa trovò nei secoli successivi fino all’Ottocento innumerevoli modalità per esprimersi dando luogo a strutture fisiche di solidarietà di cui ancora oggi conserviamo memoria e traccia. Si deve alla nascita dello Stato unitario la drastica interruzione di questo fenomeno che lo statalismo di fine Ottocento pretese di razionalizzare e organizzare in termini moderni, uccidendone nei fatti lo spirito che le fece sorgere. Questo luogo nacque non per celare la memoria della storia di quelle persone e quindi, per dirlo in termini moderni, per annullarne l’impatto sociale.
Oggi ci si accontenta di rendere meno socialmente visibile quello che è un fatto di grande rilevanza. La Chiesa, sempre attenta alla caratterizzazione umana di ogni evento sociale, si prese cura già nel Seicento della vita di queste donne, soprattutto quando veniva meno la loro fonte di reddito. Quanta diversità dall’affronto della società di oggi, preoccupata di nascondere la visibilità del fenomeno, magari di colpirne gli aspetti criminali, ma totalmente aliena dall’accompagnare e riscatta la vicenda umana dei veri soggetti del fenomeno!
La via Divisi, il cui nome deriva dall’arabo Ainisind o Daisin, costituisce il confine tra il quartiere del Giardinaccio e quello ebraico della Moschitta, e attraversa una contrada un tempo ricca di orti e giardini sorti in corrispondenza di un’ansa paludosa del Kemonia. Percorrendo la via Divisi, incontriamo la chiesa di S. Maria delle Grazie, detta delle Ree Pentite, fatta costruire nel 1512 da Vincenzo Sottile nel luogo in cui sorgeva la sua casa. Nel 1524 vi fu fondato accanto un monastero di suore Olivetane, che nel 1543 venne adibito come ricovero delle prostitute pentite dei loro trascorsi e ritirate a vita monastica, dette perciò “ree pentite”. Queste venivano mantenute dal Senato Palermitano con i soldi versati dalle prostitute ancora in servizio e dalle nobildonne palermitane. Il monastero, dopo l’unità d’Italia e la conseguente soppressione degli ordini religiosi, fu usato come Ufficio d’Igiene e poi demolito. Dell’edificio originario si conservano solo il portale e due finestre.
Ciò che rimane dell’antica chiesa mostra come il linguaggio figurativo siciliano tra la fine del ‘400 e la prima metà del ‘500 sia quello gotico-catalano, derivato dalla appartenenza della Sicilia alla corona d’Aragona, e diffuso dai numerosi maestri marmorari e lapicidi che vengono a lavorare a commissioni prestigiose nella nostra isola. Il portale centrale è serrato tra due sottili pilastrini e termina con un elaborato pennacchio scolpito a traforo con motivi naturalistici; le finestre archiacute che lo affiancano mostrano nell’intreccio delicato degli archi tardo-gotici una grande raffinatezza compositiva.


SECONDA SOSTA: PIAZZA RIVOLUZIONE

Abbiamo scelto questa Piazza perché emblematica del processo che portò all’unità d’Italia e che in Sicilia si identificò con l’impresa garibaldina. Proprio in questa piazza giunsero le camicie rosse dopo l’ultimo scontro con le truppe borboniche a Ponte dell’Ammiraglio. La piazza è denominata piazza Rivoluzione perché qui scoppiò la rivolta antiborbonica del 1848. Era chiamata, prima del 1860, piazza della Fieravecchia per la presenza del mercato sorto nel 1340 per privilegio concesso dal re Pietro II d’Aragona. Al centro della piazza sta la Fontana del Genio di Palermo, detto anche Vecchio Palermo. Il Genio è una figura maschile, personificazione della città, effigiato in abiti regali mentre allatta un serpente, secondo un’iconografia presente in altre simili statue (nel Palazzo Pretorio, nella piazzetta del Garraffo, nella fontana di Villa Giulia); il motto che solitamente accompagna l’immagine del Genio è Alios nutrit, suos devorat, a simboleggiare la generosità di Palermo nei confronti degli stranieri e l’ostilità verso i suoi figli. Anche la statua del Genio fu coinvolta nei moti rivoluzionari del 1848, perché il popolo le poneva tra le mani la bandiera tricolore, divenendo così il simbolo dei moti risorgimentali. Per questo motivo fu rimossa nel 1852 e conservata nei magazzini del Senato allo Spasimo, ma nel 1860 fu rimessa al suo posto a furor di popolo. Sulla piazza sorge il cinquecentesco palazzo Scavuzzo, con un portale di stile gotico-catalano, vicino al quale è stata murata una “targa di ragguaglio delle antiche misure”, l’unica ancora esistente tra quelle che il Governo, dopo l’unità d’Italia, aveva posto presso i mercati per facilitare il raffronto tra le misure tipiche del sistema siciliano e quelle del sistema metrico decimale. Da lì, seguendo la via Scavuzzo, ideale prolungamento della via Divisi, si incontra la Chiesa e il Monastero della Concezione, detto dello Scavuzzo, eretto nel 1625 con lo steso scopo di quello delle Ree Pentite. Dalla piazza Rivoluzione si entra in via Garibaldi, che prima del 1860 si chiamava ruga di Porta Termini, cioè via delle Terme: il nome fu mutato in onore di Garibaldi, che l’aveva percorsa per entrare a Palermo il 27 maggio 1860. Sulla via Garibaldi affacciano il settecentesco palazzo Burgio di Villafiorita e soprattutto il magnifico palazzo Ajutamicristo, della fine del ’400,opera dell’architetto siciliano Matteo Carnelivari. Guglielmo Aiutamicristo era un facoltoso mercante pisano, con l’aspirazione di possedere un sontuoso palazzo, simbolo del suo status sociale, che acquistò nel 1490 nella via Porta di Termini, in virtù della Prammatica del re Martino che consentiva l’esproprio di terreni in favore di chi, costruendo un nuovo palazzo, recava decoro alla città. L’edificio fu a lungo la “più bella e gran casa delle private di tutta la città”, ma subì trasformazioni e manomissioni nel ‘600, quando quasi tutte le finestre del piano nobile furono distrutte. Rimane integro l’aspetto del corpo principale merlato, a tre ordini separati da cornici, con finestre di varie fogge e dimensioni, e il magnifico portale sormontato dallo stemma della famiglia.
Sappiamo dai documenti che alla decorazione delle parti nobili del palazzo lavorò lo stesso maestro marmoraro che aveva decorato il palazzo Abatellis, e cioè il maiorchino Giovanni Casada.

TERZA SOSTA: PALAZZO LUNGARINI

La zona della città che va dalla via Paternostro al piano della Marina fu scelta nel XVIII secolo per la costruzione di nuovi palazzi signorili o il rifacimento di edifici preesistenti, che diedero alle vie Alloro, Lungarini e Merlo l’aspetto di strade nobili e sontuose. La via Lungarini prende il nome dal suo palazzo più importante, fatto edificare nel XVII secolo da Pietro Bonanno e Scammacca, marchese di Lungarini. La principesca dimora ha un vasto prospetto, rinnovato nel ‘700, con doppio ordine di balconi retti da elaborate mensole e tre portali. Le aperture sono ornate, sui frontoni, da medaglioni con busti in stucco. Il recente restauro ha riportato alla vita il palazzo, restituendogli il suo originario splendore, e ha permesso di ricoprire, al di sotto dell’intonaco settecentesco, tracce abbastanza ampie della decorazione bicroma originaria. La visione di questo palazzo così ben ristrutturato ci aiuta a riflettere meglio sul valore che il centro storico della nostra città ha avuto nei millenni e su quello che può avere oggi. Esso è tra i più vasti d’Europa. E’ stato il luogo in cui la città è stata fondata e si è sviluppata fino al secolo scorso. Ciò sta ad indicare che al suo interno è possibile rinvenire tutte le stratificazioni architettoniche che vanno dal periodo punico a quello ottocentesco. Ha assunto dimensioni importanti anche per il numero di abitanti che in certi momenti storici hanno sfiorato le 600.000 unità. Sappiamo come durante la dominazione araba e normanna Palermo sia stata una delle città più ricche e popolose d’Europa e del Mediterraneo. Nel corso di questi 2000 anni il centro storico non ha subito particolari cambiamenti o devastazioni (come accaduto invece nella Sicilia orientale con il terremoto del 1692) sviluppandosi all’interno della cinta muraria cinquecentesca nell’area compresa tra il corso Tukory a sud, il mare – l’antica strada Colonna - a est, la via Cavour e la via Volturno a nord, il corso Alberto Amedeo a ovest. La prima espansione al di fuori della cerchia muraria e i primi interventi urbanistici che rivoluzionano l’aspetto del centro storico si hanno alla metà dell’Ottocento. E’ quello il periodo in cui in tutta Europa - l’esempio più eclatante è quello della città di Parigi ridisegnata dal piano Hausmann - si sviluppa una espansione urbanistica che porta ad abbattere le mura delle città per consentire che esse si allarghino a macchia d’olio tutt’intorno e a realizzare nuovi assi viari ampi e rettilinei, che tagliano e sventrano i quartieri medievali. Questa ventata di rinnovamento investe anche Palermo con la nascita di nuovi quartieri e di nuove strade di comunicazione. Nel 1848 infatti, per volontà del Governo Rivoluzionario, viene creato il Viale della Libertà. Lo scopo dichiarato dell’opera, oltre di abbellire la città, è quello di mettere in comunicazione “la campagna meridionale con la settentrionale”, dal fiume Oreto fino alla villa del Principe di Villafranca. Nel 1885 il Piano Giarrusso prevede l’apertura della via Roma, strada che collega la città con la stazione ferroviaria, e lo sventramento degli antichi quartieri per la costruzione del Teatro Massimo. Il taglio della via Roma viene realizzato tra il 1894 ed il 1924 demolendo numerosi monumenti di notevole interesse storico ed artistico, travolgendo antichi rioni e tagliando strade medievali, come la via Divisi che abbiamo percorso. Il fatto traumatico che ha sconvolto la vita e la struttura del centro storico di Palermo si deve però ai brevi ma intensi bombardamenti del luglio del 1943, che hanno provocato danni irreparabili a gran parte dei suoi edifici. A partire da quei giorni i palermitani hanno cominciato ad abbandonarlo sia per il continuo pericolo di crolli (come accade purtroppo ancora ai nostri giorni) sia per il desiderio di vivere in case più moderne e confortevoli. A ciò si aggiunge l’elevato costo della manutenzione che ha fatto sì che già all’inizio degli anni ‘50 molti abitanti avessero deciso di trasferirsi altrove. L’ultima decisione importante si deve al boom urbanistico degli anni ’60 e alla nascita di enormi quartieri (Borgo Nuovo, Zen, ecc) che ha quasi del tutto spogliato l’intera zona dai suoi abitanti. L’idea di tornare a dar vita a tutti i centri storici delle grandi città è abbastanza recente. Essa è certo positiva ma dovuto fare i conti con le concezioni culturali e ideologiche che presiedono tutta la scienza architettonica del restauro e che per brevità, rischiando anche lo schematismo, possiamo sintetizzare nell’alternativa: rifare tutto come in passato o tradurre tutto in termini moderni? Quanto abbiamo visto ci consente di affermare che nel nostro caso sta prevalendo la prima linea, senza che questo si affermi in modo superficiale o generico. Ma il recupero del centro storico non si esaurisce solo nel recupero del suo patrimonio architettonico. Recupero è pienamente tale se consente il ritorno e la vita dei suoi abitanti. Questa affermazione assolutamente condivisibile deve fare i conti nella nostra situazione cittadina col fatto che in molte abitazioni del centro hanno trovato dimora, più o meno stabile e più o meno confortevole, moltissimi immigrati stranieri. Soprattutto nelle ore diurne ciò è ampiamente visibile dal tipo di panni stesi ad asciugare o dal tipo di attività economiche che si svolgono nei tanti negozi che questa sera abbiamo ovviamente trovato chiusi. Più di recente anche un certo numero di palermitani, soprattutto quanti hanno avuto capitali da investirvi, hanno deciso di tornare a vivere tra queste vie. Si è determinata, quindi, una grande integrazione tra stranieri provenienti da molte nazioni, e cittadini nostrani. Ma questo processo di integrazione in qualche modo è monco perché i palermitani vivono nel centro storico con la stessa logica di tutti quelli che vivono altrove. La casa è il luogo in cui si trascorrono le ore serali e notturne, perché la vita di giorno si trascorre altrove, e le vie e le piazze servono per parcheggiarvi le macchine, non per svolgervi una vita di relazioni. Non così per gli stranieri che, fin dove è possibile, cercano di occupare tutti gli spazi comuni in tutto l’arco della giornata. Queste considerazioni ci riportano a quanto affermato all’inizio del nostro percorso: non basta investire capitali o dare servizi ad una città perchè essa torni vivere pienamente. Fortunatamente Palermo come tante altre città il centro si ripopola di sera per le attività commerciali legate alla ristorazione o all’arte. Ma è come se due popoli si fronteggiassero: quello che vive di giorno e quello che viene di notte e poi va via. Questi due popoli tuttavia si rispettano e in qualche modo si amano. Costituiscono un buon esempio di integrazione che nella nostra città ha dato finora buoni risultati, e sui quali su può contate per un ulteriore recupero del centro storico che non potrà certamente tornare ad essere nelle sue relazioni sociali quello di un tempo.

QUARTA SOSTA

L’ultima parte della nostra passeggiata ci ha portato a percorrere il perimetro esterno dell’antico quartiere arabo della Kalsa. Il quartiere fino al tardo medioevo risultava quasi isolato rispetto alla città, per le vaste zone coltivate ad orti e giardini che lo circondavano, e solo nella seconda metà del XVI secolo, con la costruzione della cinta muraria bastionata voluta dai Viceré, la Kalsa venne definitivamente incorporata nel territorio urbano. Tra XVII e XVIII secolo un asse stradale rettilineo, la via Torremuzza, parallela alle mura che chiudevano il fronte a mare della città, divenne uno scenografico “affaccio” per la costruzione di residenze aristocratiche di particolare impatto scenografico, tra cui il palazzo Petrulla dove concluderemo il nostro itinerario. Nella stessa strada furono costruite, nella seconda metà del ‘600, tre chiese, dovute al genio dell’architetto-sacerdote Giacomo Amato e decorate dai più illustri pittori e scultori dell’epoca: la chiesa di S. Maria della Pietà, la chiesa di S. Mattia e il Noviziato dei Crociferi, la chiesa di S. Teresa alla Kalsa. Concludiamo questa passeggiata rivolgendo il nostro sguardo non più a vie e palazzi, ma al mare. Da questa terrazza possiamo ammirare uno scorcio del lungo tratto di mare che bagna Palermo, ma che i palermitani non possono più godere. Proprio il tratto a noi di fronte che dovrebbe costituire la passeggiata a mare, come accade in tutte le città marittime, è quello che Palermo ha perso per ultimo. Prima della guerra, infatti, il mare lambiva la strada di fronte a noi. Per smaltire le macerie dei crolli derivanti dai bombardamenti del 1943 vi si scaricarono enormi quantità di detriti facendo arretrare di circa 300 metri l’arenile. Questa zona lambisce quella alla nostra destra che va fino a Villabate e che fino agli anni ’60 costituiva la spiaggia dei palermitani; un dissennato inquinamento derivante da scarichi urbani ne ha impedito l’uso negli ultimi trent’anni. Così Palermo che già nel suo nome evidenzia il rapporto con il mare sembra oggi doverne fare a meno. Conoscere Palermo e amarla così com’è per cercare di renderla magari migliore: ecco il motivo che ci ha mosso in questa passeggiata per alcune sue vie più caratteristiche. Conoscere di più Palermo per amarla e apprezzarla di più. Questo intendimento ci ha mossi finora e intendiamo perseguirlo per le prossime iniziative.

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