...nihil humani a me alienum puto

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Il Palazzo di Maredolce


a cura di Filippo La Porta e Rita  Martorana Tusa



Centro Culturale "Il Sentiero"

Un luogo dove la passione e l’ascolto della bellezza uniscono gli uomini e la loro esperienza in un incontro permanente.






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Cos’è che fa dire ai poeti arabi di Sicilia nel XII secolo: Com’è bello vivere sotto la signoria dei re normanni desiderosi di gloria! ?

La conquista della Sicilia, iniziata nel 1061 da Roberto il Guiscardo e da suo fratello Ruggero d’Altavilla, fu compiuta trent’anni più tardi, nel 1091.

Ruggero, che dopo la morte del fratello si era assicurato il titolo di Conte di Sicilia, governò da sovrano indipendente, riconoscendo come autorità ultima quella del Papa, che aveva concesso ai principi normanni la Apostolica Legazia, scegliendoli come difensori della fede e della Chiesa. Alla sua morte gli successe il figlio, Ruggero II, che nel 1130 fu incoronato Re di Sicilia.

I musulmani non vennero cacciati; chi volle rimase e fu suddito alla stessa stregua dei latini, dei greci e degli ebrei. Alla corte di Ruggero anzi perdurò e fu valorizzata la cultura araba, contrassegnata da un forte interesse per le scienze: la logica, la geometria, l’astronomia, la medicina, la musica e la filosofia (furono tradotti diversi testi aristotelici e neoplatonici).

Palermo divenne un centro di alta cultura, soprattutto scientifica, e fu  arricchita di edifici di rara bellezza. La capitale era allora una vera e propria metropoli: nella sola città dovevano abitare non meno di 300-350.000 persone. Nel regno si parlavano parecchie lingue: la maggioranza della popolazione parlava il greco, ma c’erano numerosi gruppi di lingua araba ed alcune colonie ebraiche; a corte si parlava il franco-normanno. Leggi e decreti venivano promulgati in latino, greco e arabo. Ai musulmani fu permesso di professare liberamente il loro culto nelle moschee, e si continuarono a celebrare funzioni religiose anche secondo il rito greco.

A corte, cucitrici arabe ricamavano sugli abiti del re versetti tratti dalle Scritture servendosi di caratteri arabi.

Dopo una visita nella città, l’arabo spagnolo Ibn Jubayr afferma: « In realtà e in apparenza offre tutto quanto sapresti desiderare, i frutti e le foglie della vita. Antica ed elegante, magnifica e piacevole, d’aspetto seducente, giace tra colli e pianure che sono tutto un giardino… I musulmani di Palermo conservano un poco di fede. Tengono in buone condizioni la maggior parte delle moschee, fanno la preghiera alla chiamata del muezzin, possiedono dei quartieri ove risiedono, insieme con le loro famiglie, senza mescolarsi ad alcun cristiano. Tengono i mercati e li frequentano. Hanno a Palermo un qâdî, che è giudice dei loro processi, e una moschea congregazionale dove si riuniscono per la preghiera durante il mese santo. Le altre moschee sono così numerose che non si saprebbe contarle; la maggior parte servono come scuole a coloro che insegnano il Corano… Si possono qui notare palazzi magnifici e castelli, con torri che si innalzano nel cielo a perdita d’occhio e che stupiscono per la loro bellezza».

Ma la Palermo normanna non era semplicemente il luogo della tolleranza, bensì della convivenza. Il fatto più notevole che ha caratterizzato il regno normanno infatti è rappresentato dal successo con cui assicurò l’armonia tra gli elementi di stirpe diversa che abitavano la Sicilia, valorizzando ciò che di buono le diverse popolazioni avevano portato nell’isola, e rispettando le diverse usanze.

Nell’architettura civile i “sollazzi” – i luoghi di diletto - dei re normanni  erano edifici di chiara ispirazione araba, caratterizzati dalla armonica fusione dell’elemento vegetale, dell’acqua e dell’architettura.

Le grandi chiese della Sicilia normanna testimoniano perfettamente il tipo di civiltà che si stava sviluppando. Sono opera di architetti normanni che impiegano muratori greci e musulmani e accorgimenti architettonici bizantini e arabi, di decoratori arabi e di mosaicisti bizantini, ai quali era affidata una scuola di mosaicisti locali.

Il Cristo Pantocratore del Duomo di Cefalù ci dice “essersi fatto uomo, fattore dell’uomo, redentore delle creature, giudico da uomo i corpi e da Dio i cuori”.

E vedremo come nel mosaico della Natività della Cappella Palatina tra i pastori stupiti dall’annuncio degli angeli ci sono anche gli islamici, a ribadire che Cristo è la salvezza portata a tutti gli uomini.

 

Maredolce è il luogo dove questo inizia a viversi.

Già gli Arabi avevano operato grandi cambiamenti nella campagna che circondava la città, trasformandola in giardini lussureggianti, ricchi di agrumeti e palmizi, solcati da ruscelli che alimentavano piccoli laghi artificiali. Qui gli emiri impiantarono le loro residenze estive, di cui rimangono tracce nel Palazzo della Favara o Maredolce, poi restaurato e ingrandito dal re Ruggero II, che vi aggiunse la cappella dei SS. Filippo e Giacomo, inserendolo nel complesso dei castelli e palazzi di cui Ibn Jubayr dice che “circondavano la città, come monili il collo di donzelle dal seno ricolmo”.

Il palazzo prende nome da una sorgente che scaturiva dalle falde di monte Grifone, chiamata in periodo arabo al-Fawarah (la sorgente). Il termine “Maredolce” si riferisce dunque al piccolo “mare di acqua dolce” che circondava il Palazzo. Al centro del bacino vi era un'isola con palme e agrumeti raggiungibile solo in barca, e tutto il complesso era circondato da lussureggianti giardini.

La bellezza del Palazzo e del giardino che lo circondava è evocata dal poeta trapanese Abd ar-Rahman, vissuto sotto Ruggero II:

“Fawwarah da due mari, tu contenti ogni brama di vita dilettosa e di magnifica apparenza… Là dove si congiungono i due mari, là s’affollano le delizie… Oh quanto è bello il lago delle due palme e l’ isola nella quale s’innalza il gran palazzo!L’acqua limpidissima delle due polle somiglia a liquide perle e il bacino a un mare. Par che i rami degli alberi si allunghino per contemplare il pesce nell’acqua e gli sorridano. Nuota il grosso pesce in quelle chiare onde, e gli uccelli tra quei giardini modulano il canto; le arance mature dell’isola sembrano fuoco che arde su rami di smeraldo; il limone giallo rassomiglia all’amante che abbia passato la notte piangendo per l’assenza (della sua donna).  Le due palme hanno l’aspetto di due amanti che si siano riparati in asilo inaccessibile, per guardarsi dai nemici…"

L’abbondante acqua di quelle due sorgenti e di altre minori permise a Ruggero l’impianto di un doppio bacino assai ampio e tanto profondo da permettere la navigazione di piccole barche e la pesca. della città.

La sorgente aveva origine dalle pendici di monte Grifone ed era protetta da una costruzione con arcate ogivali, nota come “Archi di S. Ciro”. In epoca islamica, e più precisamente nel 973, la sorgente è descritta dal viaggiatore Ibn Hawqal, che riferisce: “…scaturiscono intorno a Palermo altre fontane rinomate, le quali recano utilità al paese; come sarebbe il Qadus, e, nella campagna meridionale, la Fawwarah piccola e la grande; la quale sgorga dal naso della Montagna, ed è la più grossa sorgente dell’[agro palermitano]. Servon tutte queste acque a [innaffiare] i giardini.”

L’abbondanza della sorgente era talmente famosa a Palermo che Antonio Veneziano, quando dovrà identificare le personificazioni dei fiumi e delle acque di Palermo nella fontana di Piazza Pretoria, rappresenterà anche la sorgente di Maredolce.


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